And then went down to the ship
E poi scendemmo alla nave,
Inizia così, ex abrupto, il viaggio nella storia e nella leggenda dei Cantos di Ezra Pound. Come i grandi geni dell’Ottocento, Pound afferra fra le mani del poeta un’umanità inerme e statica e la getta lontano, in un viaggio che mette in moto due millenni di vita e cultura, e che rimette tutto in discussione nel tentativo di scoprire ancora il segreto dell’uomo. Inutile sarebbe porsi le canoniche domande dell’indagine poetica con Pound, ad esempio, chi è l’io-poetico? Domanda alla quale per rispondere servirebbe un saggio intero, e soprattutto un uomo saggio. L’io-poetico poundiano è fluido, continuo e mobile. È tutte quelle persone, esistite o di fantasia, che hanno gettato le loro radici nell’animo del poeta e che ne compongono l’identità multiforme. Ma anche dire che Pound impersoni queste controparti è scorretto: l’occhio di Pound sorvola le storie che racconta e che si compongono nella narrazione della sua visione dell’universo, si cala un momento nelle vicende di un Re o un avventuriero, e poi riparte, irrequieto e irrefrenabile.
Che scelga di iniziare il suo poema con and non è un caso. Ci sembra di essere calati non in un racconto che sta iniziando, ma in uno che è già iniziato, crea una dimensione continuativa. Perché prima del Canto I, per Pound come per per l’umanità, ci sono stati chissà quanti altri Cantos.
Set keel to the breakers, forth on the godly sea, and
we set up mast and sail on that swart ship,
Lanciammo lo scafo nelle onde, via sul mare divino,
alzammo albero e vela sulla nave nera,
Quindi si viaggia. Per mare, ovviamente. Non esisterebbe simbolo migliore per un viaggio nella storia e nella cultura europea e mediterranea che il mare, che da sempre ne è culla e linfa vitale. Pound stesso ha dato inizio alla sua storia con un viaggio per mare, anzi per oceano, e come lui un Padre del Moderno come Byron. Ma chi è il viaggiatore che stiamo (in)seguendo? Ce lo dirà esplicitamente negli ultimi versi soltanto, ma poco ci vuole ad immaginarlo: E lui forte del sangue (mi) disse: “Odisseo […]. È il viaggiatore più celebre della storia, da Omero a Dante fino a Joyce, simbolo personificato dei valori occidentali, in positivo e negativo, dai tempi degli ellenici fino al capitalismo odierno. Citare il dublinese è d’obbligo parlando d’Ulisse, ma non è un caso che entrambi scelgano lo stesso uomo nelle loro opere. Ulisse è la personificazione dell’esilio e dell’errare, condizioni d’elezione di tutti gli intellettuali Modernisti, e, in un misura inconscia, di ogni uomo dal 1789 in poi.
Souls stained with recent tears, girls tender,
men many, mauled with bronze lance heads,
battle spoil, bearing yet dreory arms,
these many crowded about me; with shouting,
Anime macchiate di lacrime recenti, tenere fanciulle,
uomini tanti, straziati dal bronzo delle lance,
spoglie di battaglie, le armi ancora cruente,
questi tutti mi si affollarono intorno; con grida,
A Odisseo/Pound non basta viaggiare e incontrare persone e vedere gente per scoprire il segreto dell’uomo. Deve valicarne i confini. E il primo confine da valicare, quello violato dai grandi viaggiatori, è ovviamente la Morte. Richiama ad un ombra di vita i morti per parlarci, per chiedere consiglio e vaticinio, in una scena dal sapore nero e magico, di ispirazione lucanea. Ci aspetteremmo suo padre, come per Enea, o grandi uomini, come in Lucano, o ancora personaggi-simbolo, come Dante, ma non in Pound. I primi tre Cantos escono nel 1917.
But first Elpenore came, our friend Elpenore,
unburied, cast on the wide earth,
[…]
“Heap up mine arms, be tomb by sea-bord, and inscribed:
A man of no fortune, and with a name to come.”
Ma primo venne Elpenore, l’amico Elpenore,
insepolto, gettato sulla terra larga,
[…]
“Raccogli le mie armi, dammi sepoltura n riva al mare e scrivi:
Un uomo senza fortuna, di postuma fama.”
Pound non può incontrare altri se non un suo amico caduto nella Grande Guerra. L’Ade doveva essere pieno di giovani come Elpenore, insepolti, in attesa di qualcuno che li ricordasse. Al ricordo di Elpenore segue il vaticinio di Tiresia, e anche qui non si può non chiamare in causa il Modernista mancante, T. S. Eliot. Anche nella sua Wasteland Tiresia è un personaggio rilevante, in bilico fra dramma moderno e tragedia antica, ma sempre profeta, capace di vedere oltre gli inganni della terra desolata. E, bevuto il sangue, Tiresia scaglia la sua predizione, che come un monito e un inquietante memorandum ci seguirà per tutto il poema:
“(Odysseus) Shalt return though spiteful Neptune, over dark seas,
lose all companions.”
“(Odisseo) Tornerà pur inviso a Nettuno, sopra mari scuri,
perduti tutti i compagni.”
Quindi Pound, e noi con lui, seppure solo, tornerà a casa, magari avendo scoperto qualcosa di nuovo, magari per questo solo. Magra consolazione.