Già sceneggiatore di Hell or High Water e di Sicario, Taylor Sheridan conclude la sua trilogia sulla frontiera americana con Wind River, thriller ambientato nell’omonima riserva indiana del Wyoming in cui il ritrovamento del cadavere di una ragazza nativa americana porta ad un’investigazione dell’FBI.
Cory Lambert (Jeremy Renner) è una figura a metà tra il cowboy e il cacciatore il cui compito è quello di scovare e uccidere i predatori nella riserva di Wind River. Durante la ricerca di un puma, egli ritrova il corpo ghiacciato di Kelsey Asbille che, a causa dei piedi nudi, induce ad interrogarsi sul modo in cui possa essere finita così lontana dalle abitazioni della riserva. Subentra dunque Jane Banner (Elizabeth Olsen), una giovanissima ed inesperta agente dell’FBI, proveniente dalla Florida, e dunque inadatta o pronta alla natura violenta ed inospitale del Wyoming.
Al di là del genere stesso del film – un vero e proprio thriller – in cui cerchiamo di trovare il colpevole; Wind River si concentra sulla natura stessa del luogo in cui è ambientato: una riserva che lascia poco all’essere umano, costringendolo a sottostare alla regola universale della sopravvivenza del più forte. Sono pochi, infatti, coloro che riescono a vivere pacificamente in un luogo così silenzioso, crudele, ed ostile alla vita mentre sono dunque molti quelli che vi si perdono per sempre. Un posto come Wind River non fa altro che rubare a coloro che vi abitano, lasciandoli senza nulla e la morte di Kelsey non ne è che un esempio di una tendenza molto più ampia.
In particolare, poi, il film cerca di mettere a fuoco la tragedia dei nativi americani, costretti dai coloni ad un luogo simile. Sono infatti numerosissime le vittime e i dispersi – soprattutto donne – di origini native americane, eppure nessuno sembra occuparsene davvero, nessuno sembra neanche contare quante persone scompaiano ogni giorno. E così anche Kelsey, come molti altri, rischia di sparire nel silenzio senza neanche poter diventare parte di una beffarda statistica.
L’obiettivo ultimo di Sheridan però non sembra raggiunto con efficacia perché ciò che rimane è solo in parte la situazione tragica dei nativi americani che permane come sottofondo della situazione tragica di chiunque abiti in Wyoming. Il film diventa però l’occasione per comprendere fin dove l’umano possa spingersi pur di sopravvivere, come sottolinea lo stesso Lambert: perdendo spesso di vista l’ingiustizia subita dai nativi americani, che è presente ma dà l’impressione di comparire solo in alcuni momenti.
Nonostante l’opportunità un po’ mancata di un film finalizzato ad essere esistenziale, Wind River rimane un ottimo thriller, che sorprende e riesce a tenere lo spettatore “incollato” allo schermo fino alla fine. Anche per questo non sorprende che Sheridan abbia vinto a Cannes nella categoria “Un Certain Regard” per la migliore regia. Al contrario, la stagione americana degli awards non è incominciata altrettanto bene: ai Golden Globes nessuna nomination. Ma cosa di questo thriller non ha evidentemente convinto l’Hollywood Foreign Press Association? Forse le criticità di fronte a come sia stata affrontata la situazione dei nativi americani? O forse anche qui ha influito il fatto che negli Stati Uniti il film sia stato distribuito dalla Weinstein Company?
Copertina © 2017, Acacia Filmed Entertainment