L’ecologia, come studio delle relazione tra organismi e ambiente che li circonda, nasce nel XIX secolo ed è un argomento tutt’ora attuale. Connesso alla biologia e allo studio delle scienze della terra, ritroviamo il tema dell’ecologia in qualunque ambito. Naturalmente anche la moda e il design sono state travolti dal ciclone dell’ecosostenibilità coinvolgendo un gran numero di artisti nella ricerca di materiali che possano integrarsi perfettamente con l’habitat circostante. La nuova frontiera, ormai, è la creazione di tessuti, materiali e infine oggetti derivati dal riciclaggio di altre sostanze: gli scarti del vino e dell’uva per la pelletteria o il letame bovino che, lavorato, permette di ottenere tessuti e materiali simili alla carta e alla plastica. Queste lavorazioni sono eco compatibili non solo per la totale riciclabilità, estranee come sono a sostanze chimiche e sintetiche, ma anche perché il riuso di determinati materiali ne evita lo smaltimento, considerato tra le cause principali dell’inquinamento.
Forse rifacendosi al biologo Barry Commoner e ad una delle sue quattro leggi fondamentali dell’ecologia, secondo cui nulla scompare, neanche i rifiuti, trasformati in cibo per altri, la start up indonesiana Evoware ha ideato il primo bio packaging. Dopo la balinese bio plastica, arrivano, infatti, i contenitori commestibili ricavati dalle alghe, pressoché insapori e inodori. La start up si propone come “eco-soluzione per i problemi derivati dai rifiuti di plastica”, essendo l’Indonesia tra i più grandi produttori di inquinamento su scala mondiale.
Sempre con le alghe hanno lavorato i tre designer giapponesi, fondatori di AMAM. “Agar Plasticity” è il nome del progetto premiato al Salone del Mobile milanese nel 2016, che prevede l’utilizzo dell’alga agar in alternativa ad imballaggi di plastica sintetica o carta. Un determinato tipo di lavorazione, infatti, permette poi di smaltire il packaging senza che questo diventi fonte di inquinamento.
Particolare attenzione è stata dedicata al tema del bio packaging dai designer più creativi che, per creare imballaggi o nuovi materiali, hanno scelto oggetti di scarto. Lo scopo dell’ecosostenibilità applicata al design, infatti, è quello di avere il minor impatto possibile sull’ambiente. È così che nasce, ad esempio, “The Meat Project” ideato dall’Atelier Montè. Isaac Montè, il designer belga fondatore dello studio, elabora il suo progetto partendo dai problemi sociali, economici ed ecologici globali: tra questi c’è lo spreco di cibo, in particolare della carne. Decellularizzata, la carne è ormai bianca, gommosa e malleabile, adatta alla creazione di oggetti di design.
La scia del riciclaggio viene seguita anche da Paolo Ulian, designer toscano che, per le sue creazioni, recupera oggetti di scarto e li rielabora in vere e proprie opere di design. La lampada Anemone ne è un esempio, col riutilizzo di fusti di penne Bic collegati ad una base luminosa attraverso braci flessibili. Anche Artemide, in collaborazione con lo stilista Issey Miyake, firma la collezione di lampade In-Ei (in giapponese “ombra”), ecologica al 100% poiché permette un risparmio di energia e nessuna emissione dannosa di gas causata dalla produzione di nuovi materiali, essendo realizzata riciclando bottiglie in PET.