Il 2017 è stato un anno di scoperte, di riconferme e di ritorni sulle scene. Dalla scena internazionale a quella italiana sono stati tanti gli artisti a spiccare durante il corso dell’anno ma ciascun redattore ha scelto un solo artista da eleggere come maggiormente rappresentativo dell’anno appena conclusosi. Ovviamente la scelta risente dei gusti personali di ognuno di noi, ma è innegabile che, a conti fatti, gli album citati siano stati consacrati dalla critica come album d’indiscutibile valore.
Ma il 2017 è stato anche un anno di – capitano anche loro – cadute. Insieme agli album migliori alcuni di noi hanno dunque indicato quegli album che hanno deluso le aspettative, album che, una volta pubblicati, si sono rivelati al di sotto del potenziale artistico dei rispettivi artisti.
MIGLIOR ALBUM
Automaton di Jamiroquai: I Jamiroquai la parentesi di popolarità mainstream l’hanno già passata da un pezzo e adesso stanno nel limbo di quei gruppi/artisti che tutti bene o male conoscono ma non ascoltano usualmente. Il loro ultimo disco, Automaton, è stato un discreto successo solo in Italia (primo in classifica) ed è riuscito a racimolare solo qualche podio in altre nazioni europee (UK, Francia e Spagna). Lo sforzo musicale dietro, però, è encomiabile – c’è il funk, c’è l’elettronica, c’è l’inconfondibile voce di Jay Kay, e in alcune canzoni c’è anche un tentativo di ripensare il loro stesso stile musicale (Automaton su tutte).
PEGGIOR ALBUM
Divide di Ed Sheeran: Intendiamoci… peggiore non vuol dire inascoltabile. Alcune canzoni (Shape of you, Castle on the hill, Eraser) le ho ascoltate (più volte) io stesso con piacere. Ma il resto è blando, banale, manca di immaginazione e fantasia e ripropone sempre lo stesso immaginario a cui Ed Sheeran ci ha abituati da 5 anni. E si è arrivati a un punto in cui, oramai, le giustificazioni sono finite.
MIGLIOR ALBUM
Prisoner 709 di Caparezza: Sorprendente e ricco, ci fa scoprire un nuovo lato del rapper pugliese. Dopo Museica sembrava impossibile che Caparezza potesse ancora risultare innovativo, eppure ci è riuscito eccome: le tracce seguono un nuovo percorso più intimistico e privato, facendoci avvicinare sempre di più alla persona vera che sta dietro l’immagine che si è creato. Michele Salvemini è più presente di Caparezza in Prisoner 709. Un album che si apprezza ancora di più dopo i primi ascolti.
MIGLIOR ALBUM
Divide di Ed Sheeran: L’album è stato accolto abbastanza tiepidamente dalla critica, ma ciò non toglie che sia stato uno dei più grandi successi del 2017. Per quanto si possa criticarne la mancanza di sperimentazione, che invece aveva contraddistinto l’album precedente del rosso anglosassone, la colonna sonora del mio 2017 è stata proprio questo album. Castle on the hill è stato un perfetto sottofondo della sessione invernale, Shape of you ottima per ballare la sera in spiaggia e Perfect per aumentare la nostalgia che mi ha avvolta questo autunno. Certo, il successo non accompagna necessariamente la fama, però è evidente che in questo 2017 Ed Sheeran abbia avuto un ruolo fondamentale nel panorama musicale.
MIGLIOR ALBUM
The Ooz di King Krule: King Krule torna e amplia ancora con questa uscita la sua già caleidoscopica visione della musica. Jazz, rock, blues ed elementi hip-hop, è facile perdersi tra i 19 pezzi di The Ooz cercando un unico filo conduttore. Sicuramente un disco complesso che ad ogni ascolto rivela nuovi particolari, ma a mio avviso per la definitiva consacrazione artistica avremo ancora da attendere.
MIGLIOR ALBUM
Terra de Le luci della centrale elettrica: Sicuramente ce ne saranno di altrettanto o di più meritevoli, ma Terra merita una menzione d’onore perché è il disco che nel 2017 mi ha fatto fare pace con l’indie. Saranno i testi densissimi di Vasco Brondi, a tratti intimi e a tratti veri e propri dipinti di attualità, sarà la sua voce che non arriva mai al cantato ma lo sfiora, saranno quei diversi sapori di Terra che fanno sembrare ogni luogo un po’ casa, è un disco che mi ha emozionato dal primo ascolto e che non mi stanca mai, da marzo colonna sonora di ogni mio viaggio.
MIGLIOR ALBUM
Melodrama – Lorde: Due anni fa, nel bel mezzo della produzione del suo nuovo album, Lorde è stata lasciata dal suo fidanzato di lunga data. Nell’estate del 2017 è uscito l’album in questione, e le canzoni in esso contenute sembrano voler rispondere ad una semplice domanda: “What now?”. Il maggiore punto di forza di questo album è l’essere tematicamente e musicalmente coeso, caratteristica di cui purtroppo molti album pop contemporanei peccano. La collaborazione fra Ella – in arte Lorde – e Jack Antonoff – ex chitarrista dei Fun – e principale produttore di Melodrama – ha avuto come risultato un album a tratti ironico, a tratti commovente, sempre coinvolgente. Electro-pop da cameretta? Forse, ma riuscito dannatamente bene.
PEGGIOR ALBUM
Witness – Katy Perry: L’ultimo album di Katy è, senza mezzi termini, un disastro. Specifichiamo: le produzioni sono pazzesche, degne dei nomi di tutto riguardo che ne sono gli artefici. Ma l’album appare frammentario, dimostrazione che spesso un produttore onorevole sarebbe meglio di quattordici diversi super-produttori. E appare soprattutto forzato: già con il suo precedente album PRISM Katy si era dovuta adattare ai trend musicali del momento – basti pensare a Dark Horse, pezzo trap assolutamente random – ma con Witness si sfiora l’esagerazione. C’è la trap, c’è la dancehall, c’è il revival anni ’80, tutto in un solo disco. Sette anni fa a noi bastava il bubblegum pop di Teenage Dream.
MIGLIOR ALBUM
The Ooz di King Krule: Questo 23enne inglese si rivela la scoperta più promettente del 2017, sfornando un album che vede il fondersi armonioso di post-punk, hip-hop e jazz, vecchio e nuovo dunque, in un mix assolutamente vincente ed intrigante. Le atmosfere dell’intero lavoro sono malinconiche, cupe ai limiti della disperazione; i testi dei brani sono introspettivi, riflettono alla perfezione il disagio ed il malessere di una generazione persa e che fatica nel ritrovarsi. King Krule ci trasporta elegantemente, senza mai rivelarsi banale, nel suo mondo tetro, solitario ed angosciato, in cui possiamo ritrovare anche una parte di noi stessi.
PEGGIOR ALBUM
As you were di Liam Gallagher: Il primo lavoro da solista di Liam Gallagher non convince, suona ripetitivo, scontato, nulla che non ci si potrebbe aspettare dall’ex-Oasis. Il discreto successo che l’album ha riscosso, nel Regno Unito in particolare, è probabilmente dovuto alla fama ormai consolidata dei fratelli Gallagher, a quella fetta considerevole di fans che mai li abbandonerà. Tuttavia, il disco di Liam è mediocre, a tratti noioso, nulla che passerà alla storia o che lo farà tornare alla tanto agognata ribalta.
MIGLIOR ALBUM
DAMN. di Kendrick Lamar: Lamar (ancora), poiché non sbaglia un colpo da To pimp a butterfly, una sintesi perfetta tra rap e trap, che riesce ad accontentare entrambe le sponde. Si è fatto tanto clamore per la prematura scomparsa di Lil Peep, che si pensava fosse il nuovo fenomeno della scena trap, ma non hanno capito che in realtà un altro personaggio domina da un po’ di anni su questa scena
PEGGIOR ALBUM
Villains dei Queens Of The Stone Age: Album non all’altezza della band, ci aspettava di più da loro, dopo i grandi lavori del passato. Un album sottotono per certi versi, poiché nelle intenzioni dovrebbe avere un carattere “cattivo” ma che in realtà non lo è abbastanza. Non che non abbiamo soddisfatto i propri fans, ma sicuramente ci si aspettava molto di più dal genio di Josh Homme, e forse anche lui non è molto soddisfatto, viste le recenti uscite fuori dal palco
MIGLIOR ALBUM
Prisoner 709 di Caparezza: Pubblicato il 15 settembre, il disco di Caparezza unisce la passione per il rap al mondo del rock e del pop, attraverso alcune canzoni bellissime e struggenti, come La caduta di Atlante e la splendida Larsen, che racconta il faticoso rapporto del cantante pugliese con l’acufene. Un vero artista si vede nel momento in cui deve raccontare un’esperienza complessa e particolare: in questo caso, Capa lo è.
PEGGIOR ALBUM
Revival di Eminem: Pur essendo un grande fan di Eminem e pur continuando a vedere in lui l’artista principale sulla scena rap statunitense e mondiale, il suo ultimo disco pubblicato a metà dicembre delude le aspettative. Dopo i successi degli album precedenti e le grandi canzoni che Marshall Bruce ci ha regalato, Revival non si dimostra all’altezza della musica rap che abbiamo fino ad ora ascoltato.
MIGLIOR ALBUM
Polaroid di Carl Brave e Franco 126: Più difficile fare questa scelta che non l’altra. Ho apprezzato tanti artisti quest’anno, ma per mera soggettività vado con Polaroid. Album d’esordio di due artisti romani, Carl Brave e Franco 126, penso sia il tentativo maggiormente riuscito di avvicinare i due generi più ascoltati dai giovani in Italia: rap e indie. La loro descrizione della quotidianità romana è rapida e incompleta, gergale e totalmente dipendente dall’autotune. Ciononostante, il tentativo di farti immergere nel calore del centro Italia o nei sapori trasteverini risulta ampiamente riuscito. Non so che cosa aspettarmi da loro in futuro, questo non era nè il primo nè il loro secondo tentativo di sfondare e mi rendo facilmente conto dei loro limiti: penso sia questo il classico caso di hic et nunc da sfruttare finchè se ne ha l’opportunità, sapendo che a volte la musica serve a staccare la testa e non sempre deve fare riflettere sul senso della vita.
PEGGIOR ALBUM
Comunisti col Rolex di J-Ax e Fedez: Da un lato uno dei principali “gran maestri” del rap in Italia, dall’altro il nemmeno trentenne dalle uova d’oro: si sono uniti già a partire dall’estate 2016 per invadere le radio tramite pezzi (non riesco a definirle canzoni) che niente hanno di originale o rischioso. Da lì a gennaio è uscito CCR: entrambi erano ben consapevoli di che cosa fosse necessario per moltiplicare gli ori e i platini al posto dei pani e dei pesci e non si sono fatti scappare l’occasione. Collaborazioni che raccolgono a due mani dai deprimenti talent italiani, testi che feriscono meno di un coltello di plastica e ospitate a destra e a manca (persino da Costanzo) hanno permesso loro di ricevere all’unanimità da radio quali RDS o RTL il titolo di artisti pop dell’anno. Posso capire che agli occhi di molti non ci sia niente di sbagliato e rimproverabile, ma fidatevi: questo non è il vero Alessandro Aleotti (su Fedez invece m’ero sbagliato io). La comune neo paternità non ha fatto altro che aumentare il bisogno di attirare consensi senza destare proteste. Allora ecco San Siro, è lì che vi aspetta.
MIGLIOR ALBUM
American Dream degli LCD Soundsystem (DFA – Columbia, 2017): Sono passati sette anni dal loro ultimo disco, sette anni di incertezza e ansia da parte del frontman James Murphy all’idea di riformare la vecchia band. Dedicatosi in questi anni al solo ruolo di produttore, pare sia stato David Bowie, durante la creazione di Blackstar, a spingere Murphy a tornare in sala d’incisione. Il risultato è un disco amaro, disilluso, un viaggio in un mondo oscuro che serve all’artista a ragionare sul passato e sul presente della propria carriera e della società circostante. Ritmo sincopato, amplificatori retrò, bassi e drum machine, American Dream è un disco complesso, che merita (e forse esige) più di un ascolto per svelarsi in tutta la sua meraviglia.
PEGGIOR ALBUM
Songs of Experience degli U2 (Interscope Records, 2017): Da una band come gli U2 ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che resti impresso. Con Song of Experience invece, sono tornati a riproporre lo stesso stile degli album precedenti. Già dopo la prima metà l’album suona monotono, già ascoltato. Non certo un album senza pregi, ma sicuramente non un lavoro all’altezza di un gruppo che negli anni è stato capace di incidere dischi come The Joshua Tree o Zooropa. Ai brani presenti manca energia, manca quel qualcosa che li faccia emergere. Gli U2 hanno apparentemente tentato di incidere un disco maturo e complesso, finendo con il riproporre una copia di quel che hanno già fatto.
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Un commento su “Gli album dell’anno secondo la redazione (e quelli da evitare)”