Siamo quasi al termine di questo 2017, tempo di bilanci, forse di rimpianti, ma soprattutto di propositi e speranze per l’anno venturo. Ecco che il futuro si affaccia alla nostra mentre ancora più insistentemente del solito e questo cosa ci fa provare? Trepidante attesa o ansia e timore? La nostra percezione del futuro nei secoli è cambiata: alla domanda “come immagini il tuo futuro?” l’uomo ottocentesco avrebbe risposto in maniera decisamente ottimistica, fiducioso nel potere del progresso e sostenuto da una incrollabile fede nella scienza. Nella seconda metà dell’Ottocento nasce la corrente filosofica positivista, in molti aspetti riconducibile all’Illuminismo (di quasi 200 anni prima) il cui caposaldo, molto sommariamente, può essere ricondotto alla convinzione che la scienza sia l’unica forma possibile di conoscenza, base del perfezionamento umano e sociale. L’umanità confidava quindi in un roseo e prospero futuro, teso verso una costante evoluzione positiva che avrebbe migliorato la qualità di vita di ognuno.
Oggi non è proprio così, in un’epoca in costante evoluzione, dove l’oggi non fa in tempo a trascorrere che diventa obsoleto, l’uomo prova la sensazione di non riuscire a stare al passo con i tempi. Non si tratta solo di costante innovazione tecnologica ma è il tessuto sociale in toto ad essere in continua evoluzione. Siamo costantemente bombardati da nuove notizie, opinioni, teorie, scoperte e se da un lato l’innovazione è senz’altro positiva e costituisce il vero traino verso il futuro, dall’altro scardina i punti di riferimento, mina le nostre sicurezze e ci rende incerti. Non solo, più le nostre conoscenze aumentano e sono approfondite, e maggiore è la nostra percezione del rischio. Oggi sappiamo che l’industrializzazione prima e l’attuale globalizzazione poi, hanno un caro prezzo: l’inquinamento, ad esempio. L’uomo contemporaneo prova ansia per il futuro, non è un caso che la maggior parte dei romanzi e dei libri contemporanei presentino la realtà futura come un universo distopico.
Oggi il progresso ci pone davanti a sfide complicate, come il rapporto robot-umani: avveniristici robot umanoidi andranno a sottrarre impieghi alle persone? E in campo affettivo, un’intelligenza artificiale in tutto e per tutto rassomigliante ad un essere umano potrebbe instaurare un legame affettivo con noi? Siamo in un futuro talmente lontano da essere fantascienza, eppure nella maggior parte di noi queste domande provocano paura, non totale fiducia nel domani. La nostra visione è preoccupata e rischia di farci piombare nel desiderio di un’involuzione.
È giusto avere una visione d’insieme, elementi positivi e aspetti negativi si intrecciano per formare un quadro realistico ed è a quello che si dovrebbe puntare, senza lasciarsi incatenare dalla paura. Va poi considerato come, in media, le condizioni e la qualità di vita di oggi siano superiori a quelle di ieri e, infine, il motore che ci spinge a continuare a tendere verso il futuro e il progresso è, paradossalmente, una forza irrazionale: la speranza. È questo il sentimento trasversale che ci proietta in un futuro, che lavoriamo per rendere positivo, augurandoci di riuscire a realizzarlo. Forse meglio, in fondo, “Non avere paura del domani, perché oggi è il giorno che ti faceva paura ieri” come diceva Bob Marley.
FONTI
Futurologia di Antonella Scambia. Amatì magazine Dic.2017
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