“Ma questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli […]”.
Le città invisibili: così ne parla Calvino, il suo autore.
Posti i limiti del biografismo e dello storicismo, il libro, è bene dirlo, nasce come perla del periodo combinatorio calviniano. Ovverossia, il filone in cui è il lettore l’elemento centrale; anzi, è il gioco tra lettore e autore ad essere fecondo. Regole del gioco non ce ne sono poi molte, e, a volte, sfugge pure il perché del gioco: lettore e autore stanno aiutandosi (o ostacolandosi) nella decifrazione delle combinazioni disseminate nell’opera.
Forse un articolo dovrebbe cominciare da altro, dovrebbe prima rispondere al what.
Allora, in tal caso, diremo che il libro figura come una serie di relazioni di viaggio fatte da Marco Polo al Gran Khan, imperatore dei Tartari. La storia è questa: c’è un imperatore melanconico che s’è reso conto della pochezza del suo potere di fronte ad un mondo che va in rovina e c’è anche un viaggiatore visionario che racconta di molte città, il più delle volte impossibili, oltre che invisibili, certo. (Sullo stesso argomento, vedi anche: https://www.losbuffo.com/2017/03/23/le-citta-invisibili-dalla-fantasia-alla-pagina/ ).
Il libro è costituito da nove capitoli, con un’ulteriore divisione interna: le cinquantacinque città sono divise per categorie. Vale di riportarle? Assolutamente sì: le città e la memoria, le città e il desiderio, le città e i segni, le città sottili, le città e gli scambi, le città e gli occhi, le città e il nome, le città e i morti, le città e il cielo, le città continue, le città nascoste. Ne vale la pena perché questa suddivisione sembra contenere la realtà come le linee di una mano. E cioè con la stessa naturalezza e con tutte le sue fisionomiche anomalie.
Si apre per il lettore la possibilità (quasi vertiginosa) di scegliere come leggere il libro, se seguire un raggruppamento o un altro, se seguire la divisione in capitoli, se volare pindaricamente da una città all’altra.
Ma anche di questa breve e sbrigativa descrizione sulla struttura dell’opera avverto i limiti.
Di ogni pronunciamento su questo libro rimane il senso di insoddisfazione, di incompletezza. Sembra di muoversi sul terreno pericolante delle interpretazioni lacunose. È un libro resistente. Nel senso che sopravvive alla storia, ma anche nel senso che vive al di sopra della storia (e delle interpretazioni, della critica, dei rifacimenti); perché è un libro che esiste prima di tutto e che prima di tutto esiste.
Allora cambio strada. Abbandono lo sforzo titanico di una interpretazione dell’opera, confidando che, sotto i suoi infiniti travestimenti, questo libro parli ad ognuno e per ognuno con esaltante attendibilità, quella attendibilità che solo un libro fantastico, relativista e surrealista può garantire. Nella ridda delle interpretazioni possibili, c’è un tentativo che mi stupisce più di ogni altro: lo sforzo di rendere visibile la geografia calviniana.
Quasi che una vibrazione trasgressiva abbia suggerito a diversi artisti di sfidare Calvino. Oppure si tratta di un bisogno scaturito dal fatto che non siamo Calvino, che tante volte abbiamo bisogno di vedere, oltre che di immaginare. Per fidarci, per capire, per godere.
Il progetto Seeing Calvino ha visto impegnati gli artisti Matt Kish, Joe Kuth e Leighton Connor. Dal 2 aprile del 2014, ogni settimana, di mercoledì, i tre hanno pubblicato la rappresentazione grafica di una delle cinquantacinque città, fino al 15 aprile 2015, il giorno in cui è stata presentata Berenice. Alcune città sono in bianco e nero, altre più vivaci, altre essenziali. Alcune sono cupe e alcune gioiose. Alcune hanno il tratto incerto del bambino, altre quello sicuro dell’esperto.
Queste rappresentazioni appaiono come una voce tenue rispetto alla “filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti”. E cioè, non sono ancora il punto d’arrivo di una riflessione, ma offrono una nuova specola.
Qual è, infine, la sorte dell’opera di Calvino? Quella che lui stesso ha lucidamente visto e descritto, mentre non parlava di sé:
“[…] libri che diventano come continenti immaginari in cui altre opere troveranno il loro spazio […]”.
Fonte 1: Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 2014
Fonte 2: Seeing Calvino
Copertina, Zobeide di Matt Kish
Immagine 1, Olivia di Leighton Connor
Immagine 2, Zemrude di Leighton Connor
Immagine 3, Valdrada di Joe Kuth
Immagine 4, Leonia di Matt Kish
Immagine 5, Fedora di Leighton Connor