Una delle domande più interessanti che l’uomo si è posto rappresenta un dilemma di tipo filosofico e, nel nostro caso, anche linguistico: è nato prima il pensiero o il linguaggio? In linguistica molti sono gli studiosi che hanno cercato di dare una risposta esaustiva al quesito e altrettanto numerosi sono i dibattiti scaturiti da queste risposte. Basterà ricordare l’ipotesi formulata nella prima metà del Novecento dai linguisti Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, la quale afferma che lo sviluppo cognitivo di ogni umano è influenzato dalla lingua che parla, ovvero la lingua ha un effettivo controllo sulla formazione e la caratterizzazione del pensiero di ciascuno di noi.
Questo quesito ha interessato non solo studiosi specializzati in linguistica, ma anche letterati, primo fra tutti George Orwell. All’interno del suo saggio “Politics and the English Language”, Orwell dichiara: “Se il pensiero corrompe la lingua, anche la lingua può corrompere il pensiero.” Questo è il concetto alla base della nascita del Newspeak.
Nel suo romanzo 1984 (pubblicato in Inghilterra nel 1949) George Orwell rappresenta un mondo dispotico (e distopico) gestito da un Partito totalitario di stampo socialista la cui figura di vertice è rappresentata dal Grande Fratello. Per diffondere la propria propaganda e mantenere un rigido e totale controllo sui proprio cittadini, il partito lavora ad una lingua artificiale, il Newspeak (o Neolingua nella traduzione italiana), la quale dovrebbe essere in grado di evitare ogni forma di libero pensiero, escludendo non solo i vocaboli non in linea con le direttive del Partito, ma estirpando dalla lingua stessa i sistemi morfologici che potrebbero portare alla formazione di pensieri reazionari. Si viene a creare così una lingua che, invece di tendere all’ampliamento del proprio vocabolario, è basata sulla rimozione delle parole “cattive” per il Partito.
Le parole più interessanti all’interno del romanzo sono descritte in Newspeak: a partire dal doublethink (in italiano bispensiero), ovvero il meccanismo che consente di sostenere un’idea e il suo opposto, dimenticando immediatamente il cambio di opinione avvenuto e rendendo possibili slogan ossimorici come “La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza”; oppure il concetto di crimethink (psicoreato in italiano), uno degli strumenti più persuasivi delle istituzioni totalitarie all’interno del romanzo che consiste nel reato di elaborare, anche solo all’interno della propria mente in maniera inconscia e/o involontaria, pensieri e parole contrastanti in qualsiasi modo con le teorie del Partito e del Grande Fratello. Pur essendo un crimine “mentale”, e quindi astratto di per se, le conseguenze sono molto concrete: infatti nel momento in cui la Psicopolizia, reparto nato appositamente per combattere questi crimini, viene a conoscenza dell’infrazione, il cittadino viene “vaporizzato”, arrestato, torturato fisicamente e psicologicamente fino alla dimostrazione di assoluta obbedienza nei confronti del Partito ed infine ucciso.
Il concetto di Newspeak dimostra quindi come il controllo della mente del singolo può nascere dalla restrizione della lingua stessa e permette ad Orwell di rappresentare i metodi con cui la propaganda può insinuarsi non solo nella vita quotidiana del singolo tramite immagini, slogan e pratiche, ma anche e soprattutto all’interno degli stessi processi cognitivi dell’essere umano, diventando così più difficilmente individuabile e per questo più pericolosa.