E respirò il Natale

Quadro di André Deymonaz

Entrò dalla porta laterale del circolino. Era una domenica, a pochi giorni da Natale, e ogni cosa dentro a quel luogo lo ricordava: sulle pareti c’erano festoni colorati, stelle comete luminose e corone di agrifoglio. Di fronte al bancone svettava un albero di Natale di medie dimensioni, non molto decorato, con palline rosse e coccarde argentate. “Un albero di Natale non troppo bello”, pensò. Ma non aveva importanza, non in quel circolo di paese, non quella sera; quella sera c’era qualcosa di magico nell’aria. Avanzò nel locale, verso il bancone, guardandosi attorno. L’ampio stanzone era ben illuminato, la luce elettrica contrastava col buio che si vedeva fuori dalle finestre (nonostante fossero appena le cinque del pomeriggio) e creava un clima famigliare, caloroso. Voci di ogni timbro e altezza si intrecciavano fino a confondersi, come melodie perfettamente armonizzate, per cui non si creava frastuono o dissonanza: risate cristalline di bimbi, voci sonore degli adulti. Allegre grida conviviali, e confidenze sussurrate alle orecchie. La radio cantava musiche natalizie.

Ordinò un caffè macchiato, poi acquistò due biglietti del treno per il giorno dopo, in cui avrebbe avuto diverse occupazioni da svolgere. Il profumo della bevanda nera gli riempì le narici, insieme all’odore del vino, degli aperitivi e del panettone. Alla sua destra un vecchio gatto dormiva su uno degli sgabelli; era del proprietario, abituato da una vita alla presenza degli avventori del bar, per cui non si crucciava dell’allegra confusione che aveva intorno, continuando a riposare. Gli allungò una carezza, poi prese a mescolare lo zucchero nel suo caffè; la morbida schiuma bianca si tinse di venature brune mentre tuffava il cucchiaino al suo interno. Portò la tazza alla bocca, sorseggiò, e sorrise. Se qualcuno lo avesse osservato in quel momento si sarebbe probabilmente domandato il perché della sua allegria; ma in realtà non c’era un motivo preciso. Era quasi Natale, era un momento sereno, e lui godeva appieno di tutte le sensazioni di allegria e serenità che sembravano propagarsi da quel periodo dell’anno. Intorno a lui, i tavoli erano occupati da persone di ogni età: coppie sposate, famiglie con bambini e nonni, anziani avventori abitudinari del locale. Ognuno era immerso in un’occupazione, il cui insieme formava uno splendido quadro: qui una coppietta brindava con due calici di vino; là un gruppo di anziani rideva e scherzava giocando a carte. Un signore sulla settantina stava raccontando qualcosa di particolarmente spassoso, mentre faceva la sua mossa: i suoi capelli e lunghi baffi erano bianchi, il sorriso caloroso, gli occhi circondati dai grossi occhiali, chinati sul tavolo da gioco. Parlava, giocava e sorrideva; era un sorriso calmo e sereno, di un uomo che ha vissuto la vita e ne ha conosciuto ogni aspetto, le sue dolcezze e le sue amarezze; un sorriso consapevole di chi ha saputo e sa accettare ciò che viene. Infondeva serenità. Due bambini si rincorrevano tra i tavoli, ridendo e schiamazzando, mentre il papà sulla sua sedia parlava allegramente con uno dei nonni: suo padre? Suo suocero? Chissà. E intanto i bambini si ricorrevano, e intanto papà e nonno sorridevano: e se quel vecchio fosse il padre o il suocero, proprio non importava. Un gruppo di uomini di mezza età era vicino al grande televisore, su cui veniva trasmessa una partita di calcio. Doveva essere di qualche squadra di serie B, ma attirava comunque i commenti e il tifo di alcuni di loro, che discutevano e scommettevano su chi avrebbe fatto goal, su chi sarebbe entrato in campo, su chi sarebbe andato –forse, magari- a giocare in serie A; intanto bevevano dai loro calici vino rosso e bianco, mentre alcuni amici poco lontani erano impegnati a giocare a biliardo, chi chino sul tavolo prendendo la mira, chi fermo ad osservare con la stecca in mano. La mano della giovane cassiera sorvolò la scatola delle confezioni colorate di caramelle, afferrando la banconota che lui le porgeva, per poi ritirarla e sporgerla di nuovo con il resto. Poi, rapidamente, lui si avvicinò alla porta, e fu fuori. Si incamminò rapido verso la macchina, frugando nella tasca alla ricerca delle chiavi, e intanto sorrideva. Sorrideva, perché non era stato che un attimo, quella piccola sosta nel locale, un momento quasi insignificante. Sarebbe andato a casa, avrebbe sbrigato alcune faccende, e domani ne avrebbe avute di nuove di cui occuparsi. Non era stato che un soffio nel tempo, quel piccolo momento nella sera del 22 dicembre. Ma non avrebbe dimenticato quel piccolo momento, lungo quanto la durata di un respiro. Perché in quel momento aveva respirato il Natale.


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