Un uomo spiega a una coppia che la banca non potrà concedere il prestito che stanno richiedendo; la coppia appare evidentemente a disagio, lui persino frustrato, e sbotta: papà, noi non stiamo chiedendo un prestito, e tu non sei più un direttore di banca! No, Emilio è anziano, non lavora più, ed è affetto dal morbo di Alzheimer. Il figlio è costretto a farlo ricoverare in una casa di riposo in cui possano meglio prendersi cura di lui, ed è qui che Paco Roca ambienta la storia che vuole raccontare con Rughe, graphic novel pubblicata nel 2007, solo l’anno successivo in Italia.
La novità del raccontare l’anzianità tramite mezzo grafico e la sensibilità con cui si dedica al progetto valgono a Roca diversi premi e la soddisfazione di vedere Rughe adattato a film d’animazione da Ignacio Ferreras. Che vita rimane quando i ricordi svaniscono? Quando non si conoscono più i nomi dei propri cari. Quando non si sa più nemmeno come vestirsi. Quando si perde il senso della realtà. È questo il crescendo di paure che Paco Roca ha cercato di raccontare con la sua brevissima graphic novel.
La negazione della malattia, poi la consapevolezza della degenerazione graduale e quotidiana, il tentativo di nascondere i sintomi ai medici e agli inservienti per scongiurare quanto di più grave possa accadere: il trasferimento al piano superiore, quello in cui trovano spazio i casi senza speranza. Il tormento interiore di Emilio scorre nelle tavole di Roca reso dal suo tratto necessariamente rassicurante davanti all’enormità della tematica che sta trattando. Pochi dialoghi; è il silenzio che parla: il silenzio della quotidianità nella casa di riposo, in cui tutto si ripete uguale e monotono, le giornate scorrono scandite dai pasti e dalle medicine, dalle corse per guadagnarsi una poltroncina sulla quale dormire nella sala tv. Anche le tavole suggeriscono l’immobilità della routine alla casa di riposo: le immagini della mensa e degli anziani appisolati si ripetono più e più volte; le ore scandite dall’orologio alla parete l’unico indizio del tempo che passa. Ma riprendono vita; lo fanno nel momento in cui i degenti ricordano la loro gioventù: allora cambiano le ambientazioni, cambiano le espressioni, cambia il tono.
Rughe racconta la vita nella casa di riposo, racconta l’amicizia di Emilio con coloro che conosce durante la sua degenza; racconta anche le storie degli altri anziani, dei loro comportamenti bizzarri, dei piccoli gesti di altruismo, dei disagi che ognuno di loro vive. La commozione non manca; non manca nemmeno l’elemento comico. Ma è la rabbia che domina il lettore pagina dopo pagina; rabbia per il senso di frustrazione che genera la malattia, tanto in chi ne è affetto quanto in chi è costretto ad assistervi, spettatore impotente. La rabbia di Emilio che non riesce a ricordare le parole di cui ha bisogno per esprimere ciò che pensa è la stessa di suo figlio che più e più volte si trova a spiegargli che non è più un direttore di banca; è la stessa rabbia del lettore, che entra in empatia con Emilio e i suoi compagni d’avventura, e vorrebbe poter immaginare un destino diverso per tutti loro. È la stessa rabbia che sorge nel momento dell’immedesimazione con i personaggi, nel momento in cui ci si chiede ciò su cui Roca vuole portare il lettore a riflettere appunto: che vita rimane quando i ricordi svaniscono?