Protestare non significa necessariamente fare uso di violenza, ma una protesta può essere silenziosa e passiva e non meno efficace per questo.
Durante il corso di questo ultimo anno negli Stati Uniti d’America è cresciuta sempre più la volontà di protestare contro una causa più che valida: la violenza contro il razzismo, specialmente nei confronti delle persone afroamericane.
Si sa il problema della discriminazione delle persone di colore negli USA è purtroppo ancora qualcosa di attuale e molto frequentemente si sente al telegiornale notizie di uccisioni – anche per sbaglio – da parte della polizia di persone afro.
Come conseguenza a questa situazione, circa un anno fa nacque dal giocatore di football Colin Kaepernick una protesta soprannominata “protesta della genuflessione” o “Anthem Protest“: è stato anche creato un hashtag per i social network, #TakeAKnee, che in italiano significa “Mettetevi in ginocchio”.
Ma perché questi nomi? Kaepernick infatti prima dell’inizio di una partita di Football, durante l’inno americano, si mise in ginocchio in segno di protesta.
Subito dopo la partita fece questa dichiarazione:
“Non voglio alzarmi in piedi e mostrare orgoglio per una bandiera di un paese che opprime le persone di colore. Questo, per me, è più importante del calcio: ci sono corpi in strada…”
Seguirono altre partite in cui il giocatore non smise di compiere questo suo gesto e alLa fine venne anche licenziato.
Il presidente Donald Trump non è mai stato d’accordo con questo tipo di protesta e si è posto contro la National Football League (NFL), la quale non ha mai preso provvedimenti seri nei confronti di coloro che si sono inginocchiati durante la celebrazione dell’inno. I giocatori che stanno prendendo parte della Anthem protest (letteralmente “La protesta dell’inno”) stanno diventando sempre più.
Con un tweet, lo scorso 18 ottobre il presidente degli Stati Uniti ha scritto:
“The NFL has decided that it will not force players to stand for the playing of our National Anthem. Total disrespect for our great country!”
Ma anche con il presidente contro, la NFL non ha intenzione per ora di impartire punizioni a coloro che compiono questo gesto, donando la libertà di pensiero ed espressione ai giocatori.
Inoltre, lo scorso 8 ottobre il vicepresidente Mike Pence lasciò lo stadio prima ancora che la partita tra i Colts e i San Francisco 49ers iniziasse, in quanto molti giocatori si erano messi in ginocchio durante il canto dell’inno.
“I left today’s Colts game because @POTUS and I will not dignify any event that disrespects our soldiers, our Flag, or our National Anthem.”
Così ha scritto su Twitter e anche la risposta del presidente Trump è stata molto chiara:
“I asked @VP Pence to leave stadium if any players kneeled, disrespecting our country. I am proud of him and @SecondLady Karen.”
Dopo il gesto fatto da Kaepernick hanno iniziato a prendere parte a questa protesta anche moltissimi personaggi famosi, soprattutto cantanti, come Megan Linsey, arrivata seconda all’edizione americana di The Voice nel 2015, la quale doveva cantare l’inno prima di una partita e si è inginocchiata.
Anche John Legend, durante un suo concerto ha alzato il pugno verso il cielo, in riferimento ai due atleti afro americani che lo fecero sul podio delle olimpiadi di Città del Messico per protestare contro la situazione dei neri negli USA e i loro diritti che non venivano rispettati.
Alla fine le proteste pacifiche sono quelle che meglio fanno riflettere e che riescono a riscuotere sempre maggior successo grazie all’uso di parole e gesti di spessore.