Indiscreto e politicamente scorretto, American Horror Story è la serie tv che da ormai 6 anni porta alla ribalta, romanzandoli, episodi realmente accaduti durante il corso della storia negli Stati Uniti. Una narrazione dura, decisamente dark e molto polemica. Si passa dalle stragi scolastiche come critica al sistema di liberalizzazione delle armi, alla discriminazione razziale e omosessuale. Da non dimenticarsi la presa in giro di uno spaccato di quotidianità americana, quella dei reality, in particolare di programmi come American Crime Story. L’ultima stagione – conclusasi da poco – American Horror Story: Cult, narra le vicende di un piccolo paese in Michigan terrorizzato da una serie di crimini scatenati dall’elezione di Trump alla Casa Bianca.
Il sottotitolo è chiaro, si parla di culti – gruppi sociali definiti dalla loro religione, spiritualità, credenza filosofica, interessi comuni incarnati in una particolare personalità, oggetto od obiettivo. Evan Peters dà il proprio volto ad alcuni leader di culti realmente esistiti, come Charles Manson (casualmente morto poco tempo fa, il 19 novembre 2017), David Koresh e Jim Jones. In un’intervista Q&A per la Fox con il CEO John Landgraf, Ryan Murphy – creatore della serie – ha affermato: “We examine how these people rise to power — they’re idiots.”
Ma il potere, quello vero, in questa stagione è in mano alle donne, e così non poteva mancare il ritratto di Valerie Solanas ideatrice di SCUM Manifesto e interpretata per l’occasione da Lena Dunham. La stessa Dunham che è salita alla ribalta con la serie tv Girls da lei creata, prodotta ed interpretata, una narrazione controversa, lodata e criticata per i tratti razzisti, classisti e un femminismo non sempre compreso. Controversa come Solanas, conosciuta al grande pubblico per aver tentato di uccidere Andy Warhol il 3 giugno 1968.
Per capire meglio la sua storia e il suo lavoro bisogna partire dalle origini. Valerie Solanas nacque a Ventnor City, New Jersey nel 1936. Suo padre era un barista mentre la madre faceva l’assistente in uno studio dentistico. Solanas affermò che suo padre abusò di lei ripetutamente. I genitori divorziarono quando era ancora giovane. La madre si risposò, ma Valerie disprezzava il patrigno e si ribellò alla madre. Cominciò a marinare la scuola: scriveva e vendeva insulti per i bambini, da usare uno contro l’altro; picchiò un ragazzo al liceo perché se la prendeva con una ragazza più giovane. Nel 1949 fu mandata a vivere dai nonni, il nonno però era un alcolizzato violento e spesso la picchiava. A 15 anni divenne una senza tetto.
Nonostante ciò si diplomò e conseguì una laurea in psicologia. Durante l’università condusse un programma radio che dava consigli su come combattere l’uomo e si dichiarava apertamente lesbica nonostante il clima conservativo degli anni ’50. A Berkley cominciò a scrivere lo SCUM Manifesto che poi pubblicò nel 1967.
Ristampato almeno 10 volte e tradotto in 13 lingue il Manifesto si apre con queste parole:
“Life” in this “society” being, at best, an utter bore and no aspect of “society” being at all relevant to women, there remains to civic-minded, responsible, thrill-seeking females only to overthrow the government, eliminate the money system, institute complete automation and eliminate the male sex.
L’argomento è chiaro: gli uomini hanno rovinato il mondo e sta alle donne sistemarlo. Per farlo Valerie propone di creare SCUM, un’organizzazione volta allo scardinamento della società e all’eliminazione del sesso maschile. Nonostante il Manifesto venga considerato ampiamente come satirico, si basa su legittime preoccupazioni filosofiche e sociali.
Nel testo la Solanas avverte:
« Il conflitto non è dunque tra femmine e maschi, ma tra “SCUM-la-feccia”, le femmine dominatrici, decise, sicure di sé, indecenti, violente, egoiste, indipendenti, orgogliose, avventurose, sciolte, strafottenti, che si ritengono adatte a governare l’ universo, che hanno scorrazzato a ruota libera ai margini della “società” e che ora sono pronte a proseguire a tutto spiano oltrepassando ogni limite – e le Figlie di Papà, cortesi, passive, consenzienti, “colte”, gentili, dignitose, sottomesse, dipendenti, timorose, povere di mente, insicure, avide di approvazione, quelle incapaci di affrontare l’ignoto, contente di sguazzare nelle fogne, che almeno sono un ambiente familiare, quelle che vogliono rimanere allo stadio scimmiesco, che sono tranquille soltanto se il Grande Papà è lì accanto (…) »
(Valerie Solanas, “Scum manifesto, pag.49)
Vari critici, studiosi e giornalisti hanno analizzato le dichiarazioni del Manifesto e di Solanas prendendoli così come sono. Il prof. James Martin Harding afferma che “propone un “programma radicale”. La prof. Dana Heller invece, dice che l’autrice ha una “visione sociale anarchica” mentre il Manifesto ha “teorie quasi utopiche” e una “visione utopica di un mondo in cui la meccanizzazione e i sistemi di (ri)produzione di massa andrebbero a rendere obsoleto il lavoro, i rapporti sessuali e il sistema monetario “. Altri invece, la analizzarono come fosse una parodia ed un lavoro satirico. A questo proposito Laura Winkiel, professore associato di inglese presso l’Università del Colorado a Boulder, sostiene che il “Manifesto SCUM è la parodia dell’esecuzione dell’ordine sociale patriarcale che rifiuta”. Winkiel suggerisce inoltre che il manifesto è “una prestazione illecita, una presa in giro degli atti linguistici” seri “del patriarcato”. Le donne SCUM deridono il modo in cui certi uomini governano il mondo e legittimano il loro potere, sostiene Winkiel.
Ciò che è certo è che l’opera di Valerie Solanas, all’epoca della pubblicazione, rappresentò un netto tentativo di opposizione al mainstream culturale. Opposizione che si riscontra anche nella filosofia di American Horror Story, ironico se si pensa che la serie tv è diventata di culto.
Solanas, Valerie (1968). SCUM Manifesto. Olympia Press.
Heller, Dana (2008). “Shooting Solanas: radical feminist history and the technology of failure”.
Winkiel, Laura (1999). “The ‘Sweet Assassin’ and the Performative Politics of SCUM Manifesto”.
Harding, James Martin (2010). “Forget Fame. Valerie Solanas, the Simplest Surrealist Act, and the (Re)Assertion of Avant-Garde Priorities”.
Un commento su “American Horror Story 7: il Femminismo di Valerie Solanas”