Era il 1881 quando Carlo Lorenzini pubblicò in sette puntate sul Giornale dei bambini un racconto di fantasia dal titolo “Storia di un burattino”. Lo buttò su carta senza gran che voglia, lo inviò a Ferdinando Martini, l’allora direttore del settimanale per i più piccoli, e lo accompagnò alla premurosa raccomandazione “fanne quello che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla”.
Quell’amabile signore di Carlo Lorenzini è passato alla fama internazionale sotto lo pseudonimo di Carlo Collodi, e il suo racconto ha assunto il titolo di “Le avventure di Pinocchio” alla seconda tornata di puntate. Sì, perché i primi sette episodi non prevedevano la lieta conclusione che conosciamo tuttora: Pinocchio veniva impiccato a una quercia dal Gatto e la Volpe.
Voltata la pagina di questo increscioso episodio, noi avremmo dovuto leggere solo la parola Fine alla storia. Ma i bambini nel 1881 non si sono rassegnati a voltare pagina, e sotto la salma a penzoloni del loro burattino preferito hanno versato fiumi di lacrime, finché Collodi non ha ripreso in mano i fogli e scritto fino alla felice metamorfosi da legno a carne su cui sono montate tante interpretazioni educazionali, quando invece, Collodi, nello stendere il suo lavoro, aveva solo la legittima intenzione di guadagnarci sopra.
Dal 1881 Pinocchio ha fruttato ben oltre la vita del suo autore: il boom internazionale è arrivato nel 1940 con la trasposizione cinematografica Disney, mentre in Italia il tronco di mastro Geppetto è stato rimodellato specialmente nel 1972 dallo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini, nel 1994 dal film di Francesco Nuti e infine nel 2002 da un Benigni ancora sotto i deliri di onnipotenza da La vita è bella.
Ma è alla fine del 2017 che lo stato del legno sembra sull’orlo del crack: nell’ondata di live-action Disney ci si poteva sì aspettare che anche il burattino di Collodi tornasse in vita, ma nel caso di Pinocchio non si sta parlando di un singolo progetto. Ben tre sono le produzioni che stanno lavorando sulla storia, sviluppando ognuna tre lavori diversi, tutti in previsione dei più vicini anni cinematografici. Chi sono dunque questi burattinai?
Guillermo del Toro è l’autore che ha concepito l’idea probabilmente più originale, ma insieme l’unica che al momento sembra destinata a non vedere la luce. Dal 2014 del Toro ha provato a realizzare una versione di Pinocchio animata in stop motion, ambientata durante l’ascesa del Fascismo in Italia: la metafora sulla scelta tra essere umani o burattini sarebbe potuta risultare brillante, se a inizio novembre il regista non avesse dichiarato in un’intervista a IGN il decesso del progetto.
I 35 milioni di dollari previsti per la produzione, e tutti i telefoni attaccati in faccia a del Toro appena pronunciata la parola “Fascismo”, sembra abbiano costituito il problema principale. Tuttavia pochi giorni dopo nello stesso novembre Peter Saunders della Mackinnon & Saunders, animatore digitale e creatore di pupazzi per la tecnica stop motion, ha affermato di aver stretto un accordo con del Toro, e lo stesso regista sembra nutrire nuove speranze.
Sam Mendes pareva il nome scelto dalla Disney per dirigere il live action di Pinocchio, negli studi accanto a quelli di Tim Burton con Dumbo, Jon Favreau con Il re Leone, e Guy Ritchie con Aladdin. Il colosso dell’intrattenimento non ha comunque contato a lungo sul premio Oscar per American beauty, che a metà novembre 2017 ha abbandonato la nave a malapena salpata: la major aveva considerato e in seguito scartato Ron Howard e Paul Thomas Anderson nel 2016. Le uniche due pedine saldamente in gioco sullo scacchiere rimangono Dan Jinks, produttore e come Mendes premio Oscar per American beauty, e Robert Downey Jr., scritturato per il ruolo di – tenetevi forte – mastro Geppetto.
Jinks ha le idee chiare quando gli si chiede perché Pinocchio abbia interessato e soprattutto interessi ora tante produzioni: “Il mondo è cambiato quando Tim Burton ha realizzato Alice in Wonderland sette anni fa. È diventato uno dei film con il maggior record di incassi nella storia (riscuotendo più di un miliardo di dollari ai botteghini di tutto il mondo) e così ognuno s’è messo alla ricerca di grandi titoli comunemente conosciuti, ma non ancora sfruttati. È esattamente quello che ho fatto io.”
Matteo Garrone è il terzo e ultimo audace che sta tentando la scalata al successo sulle spalle di un burattino: attualmente, risulta il meglio organizzato, e quindi il primo che potrebbe tagliare il traguardo di uscita nelle sale con una sua versione live action. Il racconto dei racconti sembra così un passo su una strada più rarefatta, fiabesca e luminosa rispetto ai truci ambienti di Gomorra: insomma, l’evoluzione registica di Garrone risulterebbe coerente e degna di fiducia nel suo prossimo lavoro.
Toni Servillo vestirà i panni di Geppetto, e Garrone ha già il volto del suo burattino: a interpretarlo sarà la giovanissima Alida Baldari Calabria, opportunamente sottoposta a un trucco speciale e a strati di CGI per mano del mago degli effetti speciali Nick Dudman. Alla produzione sta Jeremy Thomas, premio Oscar per L’ultimo imperatore. Se a leggere il nome di Matteo Garrone per un momento vi siete figurati tutt’altra sfida rispetto alla partita della Disney, sappiate che il gioco è lo stesso, e Hollywood è lo stesso campo da gioco.
“Tim Burton ha dimostrato più volte che i bambini apprezzano l’oscuro e il misterioso molto più di quanto ci aspettiamo”, riconosce Matteo Garrone. Ed è indubbio che, constatate le originarie intenzioni narrative di Collodi, in Pinocchio viva anche un’anima nera, come è indubbio che ancora nessuno tra i prodotti dal 1940 a Benigni abbia messo a nudo questo lato, in grado di incantare lo spettatore quanto di turbarlo.
Tre produzioni per tre film però è un boccone che il mercato cinematografico rischia di non mandare giù: nel 1881 Collodi continuò a sfruttare la sua idea perché i lettori la reclamavano, ma nel 2017 i gusti del pubblico non staranno dominando le scelte artistiche oltre la soglia del digeribile?