Un curdo muore e viene mandato all’Inferno. Lì passa il tempo a piangere. Arriva un angelo e gli chiede: ”Curdo, perché piangi?”. Il curdo risponde: ”Non voglio stare qui”. L’angelo decide di intervenire: ”Va bene, vieni con me”. E porta con sé il curdo in Paradiso. Lì, manco il tempo di sistemarsi e il curdo ricomincia a piangere, disperato, senza smetterla più. Si presenta allora il buon Dio in persona. ”Curdo, perché piangi?”, domanda. E il curdo risponde: ”Non voglio stare qui”. E Dio gli dice: ”Non va bene neanche il Paradiso? E dove vuoi andare?”. E il curdo risponde: ”In Germania”.
Si piange leggendo Appunti per un naufragio, il libro testimonianza di Davide Enia. L’autore – protagonista racconta la sua esperienza a Lampedusa, che si intreccia con l’esperienza di Lampedusa, la sofferenza dello zio malato, la sofferenza sua e del padre e quella dell’isola e di chi vi approda pieno di speranza. La barzelletta del curdo che sogna la Germania è uno dei tanti racconti raccolti nel romanzo; di più: è la storia di come un volontario si rende conto che nei migranti c’è altro, oltre la disperazione; è un’epifania che rivela la profondità, la voglia di riscatto, la speranza in una vita migliore, la voglia di scherzare, che in fin dei conti tutti loro portano dentro sé. I migranti si guardano dall’alto, dalla convinzione di superiorità di chi porta aiuto; Enia lo dice: inutile trattarli in maniera così paternalista. Cibo, coperte, primo soccorso; questo gli viene offerto sulle spiagge di Lampedusa – poi li si rinchiude nei Centri e i giornalisti le domande le fanno agli abitanti dell’isola. È ai migranti che bisognerebbe dare una voce, ai soggetti veri della storia che si svolge sotto i nostri occhi, dell’esodo di massa, che continua a ripetersi. Se non si dà una voce ai migranti, quello che rimane è ignoranza: cosa li spinge a lasciare la loro terra d’origine? Cosa cercano in Europa? Poco importa di fronte al fatto che vengono qui e ‘li manteniamo noi’.
Nascerà una epica di Lampedusa, sostiene Enia, una volta che inizieremo ad ascoltare. Allora i migranti potranno raccontarci la loro storia: la storia del loro viaggio, delle persone che hanno perso, portate via dai trafficanti di uomini o dal mare, degli stupri e delle violenze subite, delle marce forzate e del carcere. Rielaboreranno il loro percorso, avranno modo di darsi una spiegazione. E a noi spiegheranno quanto vale una vita di migrante: il prezzo di una traversata in mare per i trafficanti, il terrore di essere in cinquecento su un peschereccio di venti metri che imbarca acqua da ore per un migrante disperato, e poi la sensazione di approdare sulla terraferma, la gioia di essere fuggiti dalla guerra, la possibilità di costruirsi una vita nuova.
Noi, leggendo Enia, scopriamo qualcosa di questi migranti – stralci della loro vita – e scopriamo qualcosa di noi stessi: un’umanità che non pensavamo di possedere. Scopriamo la solidarietà che c’è in ognuno di noi. Gli abitanti di Lampedusa, in Appunti per un naufragio, dicono di non essere eroi, dicono di star facendo quello che chiunque farebbe se avvistasse un barcone in procinto di naufragare, se vedesse in prima persona i corpi sparsi per il mare, i cadaveri indistinguibili da coloro che sono ancora vivi e cercano di salvarsi la vita. Lo farebbe chiunque? Lo farei io? Non lo so. So che, a più riprese, nel corso della lettura, mi sono trovata a pensare che per me Lampedusa è un miracolo, e che io la voce di questi fantomatici migranti la vorrei sentire.
Enia propone un romanzo di grande efficacia, capace di aprire gli occhi e di far riflettere su questioni sulle quali, ingenuamente, non ci poniamo domande. Un esempio: leggendo Appunti per un naufragio, per la prima volta mi sono trovata a chiedermi se sia etico o meno fotografare gli sbarchi, i migranti sulle spiagge; la questione è marginale rispetto alla grandezza della testimonianza raccontata da Enia, ma è stata la prima volta che ho osservato la questione da dentro, e mi sono messa nei panni di uno di loro. Di fronte all’intensità della storia proposta, la vicenda personale che l’autore cerca di rielaborare risulta necessaria: necessaria a distogliere l’attenzione dal naufragio dei barconi e necessaria a riportarcela, perché le cose vanno di pari passo. Commovente il passaggio in cui lo zio malato di cancro chiede al narratore: ‘e per me? Ci sarà un approdo per me?’. La disperazione che viviamo è la stessa, a prescindere dal contesto. Forse ce lo spiegherebbe un migrante se gli dessimo l’occasione di raccontare.
Davide Enia, Appunti per un naufragio, Sellerio, 2017