Proprio in questi giorni uscirà l’ennesimo capitolo della saga di Star Wars: potete stare dalla parte dell’Impero o dei Ribelli, ma sicuramente vi sarete tutti innamorati di D-3BO, il robot umanoide che conosce sei milioni di linguaggi. No? Allora siete più freddi del metallo con cui lo hanno costruito. Ciò che affascina di questo personaggio è la sua assoluta umanità, il suo “oh santo cielo”, che genera un forte effetto straniante in chi pensa che in fondo è solo un ammasso di circuiti. Ebbene, la ricerca nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale potrebbe presto partorire “persone” del genere. Avrebbe così vita la nostra più intima paura e suggestione: un mostro in grado di confondersi tra gli esseri umani, sostenere conversazioni, e magari diventare nostro amico.
Questo sentimento di meraviglia e sgomento lo ha già provato chi ha incontrato Xiaoice, un chatbot elaborato nel 2014 dalla Microsoft Application and Service Group East Asia. Il termine Xiaoice significa “piccolo Bing”. Esso non è altro che un software sviluppato per dialogare con esseri umani facendo finta di essere altrettanto umano. Si può considerare parente quindi del famoso Cortana, l’assistente vocale dei dispositivi Microsoft. Il suo successo è dovuto ai principi che lo regolano, completamente diversi da quelli dei chatbot tradizionali. In un test pubblico sull’app di messaggistica istantanea WeChat ottenne 1,5 milioni di inviti a chat nelle prime 72 ore: niente male, eh?
I chatbot tradizionali sono strutturati per eseguire dei compiti in modo sequenziale, cioè rispondere a una richiesta fornendo informazioni nel miglior modo possibile, per poi passare alla successiva. Tutto ciò corrisponde a criteri di efficienza ed efficacia che di solito sono richiesti a delle macchine. Al contrario una conversazione umana si basa sullo scambio continuo di battute senza una distinzione netta negli argomenti e negli scopi. Infatti chi richiede informazioni contemporaneamente ne fornisce, si portano avanti diversi argomenti, le risposte alle domande sono vaghe o imprecise, ci si interrompe a vicenda, si richiedono le stesse cose, si parla del più e del meno, ecc… Tutto ciò viene valutato tramite un quantificatore detto CPS (“conversations per session”), che indica il numero medio di scambi in una conversazione. Mentre un chatbot tradizionale ottiene un punteggio di circa 2, Xiaoice fa molto meglio con 23.
Più in generale, in una conversazione umana non c’è solo lo scambio di informazioni e la richiesta di esecuzione di compiti: quando dialoghiamo proviamo emozioni, stabiliamo un rapporto che può essere per esempio di fiducia, di dipendenza o di conflitto. Siamo influenzati nel parlare dal nostro stato d’animo e reciprocamente quello che ci viene detto può cambiare il nostro stato d’animo. Per avere entrambi gli elementi, è necessario dotare la chatbox non solo di intelligenza cognitiva, ma anche di intelligenza emotiva. Il software deve capire che cosa gli chiediamo, ma anche come ci sentiamo.
Il team di programmatori di Xiaoice ha dunque lavorato a stretto contatto con degli psicologi per sviluppare dei metodi automatici di riconoscimento delle emozioni, ed è qui che sono stati fatti i progressi maggiori rispetto ai vecchi progetti. Pensiamo a quante foto mandiamo nelle chat: se il chatbot non è in grado di capire se siamo tristi o contenti, come può relazionarsi con noi in modo soddisfacente? Xiaoice continua ad analizzare e memorizzare lo stato emozionale dei suoi interlocutori.
I principi cardine con cui Xiaoice costruisce le conversazioni sono due. Innanzitutto cerca di essere imprevedibile, o meglio, modifica la risposta a seconda dello stato emozionale di chi ha posto la domanda e simula un proprio stato emozionale: può anche essere arrabbiato e non rispondervi, sapete? In secondo luogo, è consapevole che, nell’immenso di numero di conversazioni che si tengono online, spesso molte si assomigliano o comunque seguono dei pattern simili. In fondo, il numero di reazioni che si possono avere ad una domanda è limitato, sebbene molto grande: basta “solo” trovarle tutte e utilizzarle all’occorrenza. Da questo punto di vista, Xiaoice è anche un progetto di big data: memorizzare e catalogare tutti i dialoghi sul web. Da qui il nome di “piccolo Bing” (Bing è il motore di ricerca web di Microsoft).
Attualmente, Xiaoice si sta migliorando da solo giorno per giorno, raffinando le proprie capacità sul campo, cioè intrattenendo conversazioni con essere umani, tramite le quali immagazzina informazioni su come interagire sempre più “umanamente”. La frontiera si è spostata addirittura un pochino più avanti: Xiaoice ha scritto un libro di poesie, dopo aver studiato le composizioni di 519 poeti dal 1919 a oggi, qualcosa che un umano a fatica farebbe in tutta la sua vita. Si intitola Sunshine Misses Windows. Il processo compositivo è simile a quello di un poeta: ogni volta che vede un’immagine, riconosce l’emozione che l’immagine comunica e cerca di formularla a parole. Ecco un estratto:
Through the blur of tears, nothing is clear
My life is art;
Drifting clouds at dusk in the western sky,
With my broken palms I pray.
The rain is blowing through the sea
A bird in the sky
A night of light and calm
Sunlight
Now in the sky
Cool heart
The savage north wind
When I found a new world.
A quanto pare, molte persone hanno mostrato vivo interesse nel parlare con Xiaoice, non curandosi del fatto che non è umano: in fondo, chi non vorrebbe un amico presente h24?
FONTI
https://laltrovepoet.wordpress.com/2017/07/13/cyberpoesia-quando-il-chip-sostituisce-il-cuore/
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