Quando sentiamo parlare di opera lirica pensiamo immediatamente alla musica: la magnificenza delle arie, la dolcezza delle melodie o il loro impeto, la potenza dell’orchestra e l’abilità dei cantanti; solo in un secondo momento badiamo alle parole, del resto così difficili da distinguere, data la particolare impostazione canora lirica, che privilegia il volume a discapito della comprensibilità. Eppure, la magia di un’opera risiede proprio nel suo raccontare una storia, grazie alla coesistenza di musica, testo (o meglio, poesia) e struttura drammaturgica. La concezione della superiorità della musica giunge fino a noi dall’Ottocento, grazie a un compositore del calibro di Giuseppe Verdi; ma non in tutte le epoche la musica è prevalsa sulle parole, e leggendo più attentamente i libretti, ci accorgiamo che questi sono opera di letterati qualificati, spesso di alto livello, che dedicavano alla librettistica parte del loro impegno letterario, se non tutto il loro tempo. Quest’ultimo è il caso di Luigi Illica, librettista che ha composto opere per grandi compositori come Mascagni, Catalani, Franchetti, Puccini, e il cui libretto di Andrea Chénier, con musica di Umberto Giordano, andrà in scena questa sera, 7 dicembre 2017, per la prima della stagione lirica della Scala di Milano.
Luigi Illica nasce a Castell’Arquato, in provincia di Piacenza, nel 1857. Di carattere ribelle, abbandona gli studi e vive una giovinezza turbolenta, in cui viaggia molto. Ha una breve esperienza a Bologna come direttore del periodico Don Chisciotte, giornale dalle idee repubblicane, e suscita le simpatie di Carducci, che sarà sempre suo sostenitore. Si stabilisce poi a Milano, dove entra in contatto con l’ambiente scapigliato e conosce letterati come Ferdinando Fontana e Arrigo Boito, importanti per la sua introduzione nel mondo dell’opera: il primo fu librettista di Puccini, e il secondo lo mise in contatto con Catalani, per cui Illica firmò il suo primo libretto, Wally, nel 1889. Fontana lo aiuta a mettere in scena il suo primo dramma, “I Narbonerielatour” , dedicato all’amico Carducci, molto apprezzato dall’esigente pubblico milanese, e che otterrà successo anche a Torino e Bologna. Dalla fine degli anni ’80, però, la produzione librettistica assorbe interamente l’attività di Illica, che non a caso è definito da Cella “il librettista-principe del melodramma post-verdiano”. In una prima fase Illica mostra di aderire ancora alla poetica scapigliata, e firma libretti di stampo tradizionale (tra cui, tra l’altro, Andrea Chénier). Ma il suo più grande desiderio è quello di sperimentare una “Forma nuova” (come annota in un taccuino personale), per cui si accosta al simbolismo nella sua produzione per Mascagni (Le Maschere, Iris, Isabeau): nei dialoghi sono introdotte numerose pause e sospensioni, che lasciano maggior spazio alla musica, vi è una ricerca del preziosismo fonico e lessicale, l’uso di un linguaggio arcaico.
Sono però i libretti per Puccini quelli che consacrano Illica alla storia, molti di questi scritti a quattro mani col drammaturgo Giuseppe Giacosa: opere immortali come La bohème, Tosca, Madame Butterfly. La critica, che in precedenza relegava Illica al mero ruolo di scrittore delle sceneggiature e attribuiva a Giacosa l’intera paternità dei versi, ha di recente dimostrato l’invalidità di questa tesi. Un’altra ipotesi confutata è stata quella della rigidità di Illica nell’uso del metro, per cui il poeta avrebbe usato sempre le stesse misure sillabiche, definite scherzosamente da Giacosa “illicasillabi”. Il pregio di Illica librettista è stato rivalutato: nelle opere pucciniane, che ricercano un “realismo” tematico e linguistico, i dialoghi si fanno estremamente agili, vengono utilizzati costrutti che riproducono il parlato (per esempio, la ripresa del complemento oggetto, anticipato, con un pronome,”Le Lagrime tue, io le raccolgo”, Andrea Chènier), diminuisce il lessico arcaico in favore di quello quotidiano e colloquiale, si diradano fenomeni tipici della lingua del melodramma, come l’uso dell’imperativo tragico (“Ti scosta!” al posto di “Scostati!”).
Il libretto di Andrea Chénier per Giordano non ha avuto vita semplice: il compositore è infatti intervenuto ampiamente modificandolo (fatto per nulla raro nella storia della librettistica), dimezzando il primo atto, eliminando alcune scene, modificando dialoghi e riscrivendo i finali terzo e ultimo. I dialoghi di Illica sono brevi ma essenziali, e questo permette una certa agilità scenica e rapidi cambi di ambientazioni. Metricamente adotta strofe polimetriche, composte da endecasillabi, settenari, quinari in disposizione libera. Il suo linguaggio contiene ancora alcuni tratti arcaici, ma presenta parimenti un principio di distacco dal codice tipico del melodramma, o per lo meno, tipico fino a Ottocento inoltrato.
Tutto questo testimonia un lavoro di alto livello poetico, che è forse semplice perdere di vista durante l’esecuzione dell’opera, così rapiti come siamo dalla bellezza della musica. Ma la lingua dell’opera lirica è poesia: è parte dell’incanto, aiuta a costruire la magia della storia raccontata; e averne la consapevolezza non può che permettere, ancora di più, di gustare gli innumerevoli capolavori del melodramma italiano, tra cui vi è indubbiamente Andrea Chénier.
Stefano Saino, “Fra realismo ed estetismo: la composita produzione di Luigi Illica”, all’interno di: Ilaria Bonomi, Edoardo Buroni, “Il Magnifico Parassita. Librettisti, libretti e lingua poetica nella storia dell’opera italiana”, Milano, FrancoAngeli, 2010.
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