Il giornalismo italiano del Novecento ha visto una moltitudine di firme importanti e conosciute in tutto il mondo ma, talvolta, si rischia di dimenticarsi qualcuno. È il caso di Camilla Cederna, giornalista milanese che ebbe una lunga e produttiva carriera all’interno di importanti testate italiane. Nata nel 1911 da una famiglia dell’alta borghesia milanese, iniziò la sua attività nel 1943, un momento storico in cui la stampa non godeva dell’assoluta libertà e che la vide vittima di un arresto (immediatamente cancellato dopo la firma dell’armistizio) dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera di un articolo intitolato La moda nera, che ridicolizzava il modo di abbigliarsi delle donne fasciste.
Dopo la fine della guerra la Cederna cominciò a pieno la sua carriera da giornalista, iniziando come redattrice dell’Europeo, fondato nel 1945 da Arrigo Benedetti che volle la firma della Cederna tra quelle del suo periodico. Nel 1956 passò all’Espresso dove curò per vent’anni la rubrica chiamata Il lato debole che descriveva con attenzione e una grande dose di ironia i costumi e le abitudini della società italiana.
Nel 1969, però, un avvenimento scosse l’animo della Cederna che, dopo lo scoppio della bomba in piazza Fontana scrive: “Mezzanotte è passata da poco, ma è difficile dormire bene dopo una giornata come quella del 15 dicembre 1969, dopo il funerale delle vittime della Banca dell’Agricoltura”. È proprio dopo la strage che la vide protagonista nello scrivere “uno degli articoli più difficili di una lunga carriera” che Camilla Cederna cambia radicalmente il suo ruolo, da giornalista di costume diventa una delle più importanti firme del giornalismo d’inchiesta. Fu una delle più ferme e convinte sostenitrici dell’innocenza del gruppo politico anarchico e si mise in prima linea nel difendere Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, tanto che venne accusata da Indro Montanelli, in un articolo dai toni accesi, di essere una merlettaia di costume innamoratasi dei bombaroli. A questo articolo non tardò ad arrivare una risposta della stessa Cederna che scrisse un pezzo intitolato Perché mi occupo di tritolo in cui afferma con fermezza e grande dignità i principi del suo giornalismo e che risuona quasi come un manifesto dei suoi valori da scrittrice: “Ho capito da sola in questi anni com’è scomodo essere in una minoranza specialmente quando si ha ragione, quando si è d’estrazione borghese e si è donne. È questo il fatto che deve aver seccato te e tanti altri. […] il problema è di essere coerenti con le proprie convinzioni e di difendere i valori morali in cui si crede […] Insomma, non è mai troppo tardi per far la sentinella; vivere non vuol dir sopravvivere”.
La Cederna, infatti, non smise mai di fare la sentinella. Dopo la fine degli anni di piombo e verso la fine della sua carriera giornalistica, si impegnò in una battaglia contro la corruzione degli ambienti politici e, soprattutto, contro l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone che arrivò a dare le dimissioni, mettendo in atto quello che si può definire il primo impeachment italiano.
L’eredità di Camilla Cederna la si può riscontrare in diversi aspetti: dal suo stile piacevolmente ironico che caratterizza i suoi articoli di costume alle strenue e difficoltose battaglie che condusse per rendere giustizia, sempre e comunque, nella nostra società. Non dimentichiamola. Se non altro perché ora il suo nome lo si può leggere tra le strade di Milano: nel 2013, infatti, la sua città le ha finalmente reso omaggio dedicandole i giardini di largo Richini, di fronte all’Università statale.
Camilla Cederna, Perché Mi Occupo di tritolo, in Camilla Cederna, Il mio Novecento
Camilla Cederna, Pinelli, in Camilla Cederna, Il mio Novecento, Milano, Rizzoli, 2011.