LA POESIA E’ UN GIOCATTOLO DIFETTOSO?

Può sembrare, in questo mondo così veloce e frenetico, che le persone non abbiano più tempo per le piccole cose, i piccoli piaceri, i piccoli gesti quotidiani. Da qualche tempo ormai c’è stata una trasformazione esagerata, ogni cosa è stata colpita da questo tsunami tecnologico che ha investito ogni frammento di vita senza chiedere il permesso a nessuno. È tutto così estremamente raggiungibile, così vicino alla nostra percezione, che a volte non viene nemmeno voglia di avvicinarsi effettivamente, di toccare le cose con mano, perché la realtà virtuale riesce a creare un valido sostituto, un surrogato di emozioni e di sensazioni già provate da qualcun altro, impacchettate e rese disponibili al prossimo fruitore. Ci si deve adattare a queste trasformazioni, perché se si rimane leggermente indietro il nostro spazio vuoto viene subito riempito e ci si ritrova improvvisamente tra i giocattoli difettosi.

Sorge una domanda allora: la poesia è un giocattolo difettoso? Si è riuscita ad adattare o è rimasta vittima della selezione naturale?

Si può dire che in generale la figura del poeta non ha più la stessa valenza di un tempo, non ha più quello charme da bello e dannato, ma anzi, come personaggio suona vecchiotto, vintage (da definire se in senso positivo o negativo) e forse un po’ sfigato. Diciamo che non è più una professione che attira l’attenzione, non quanto un calciatore o un partecipante di qualche talk show senza alcuna pretesa culturale.

Dobbiamo ammettere, però, che la poesia si è modificata e ha cercato di adattarsi a tutto questo frastuono, a tutto questo urlare e sbattere in faccia colori e scritte, questo ostentare fino alla morte che c’è sempre qualcosa di più bello e più emozionante di ciò che possiedi.

Lei si è mantenuta intatta, la sua natura risulta immutata, è riuscita a rimanere sé stessa nel contenuto, nell’estrema delicatezza e purezza, nel suo trasmettere emozioni come solo lei sa fare.

È cambiata nella forma, perché in questo mondo digitalizzato, non si poteva fare altrimenti e chiunque possieda una pagina Instagram, Facebook, Twitter o Tumblr, potrà arrivare a conoscerla così modernizzata e riadattata per noi, uomini del millennio veloce.

La si vede ormai costretta, un po’ striminzita dentro un quadrato bianco, ferma immagine che non si può toccare e se si scorre un po’ troppo con il dito sullo Smartphone è già passata e non ha lasciato nessuna traccia.

Non si può più annusare l’odore delle pagine, non si può testarne la ruvidità e nemmeno scrivere qualche nota in fondo alla pagina, ma questo è e ne risulta comunque vincente.

C’è un poeta in particolare, una pagina Instagram che è in grado di rubare i cuore e di colpire nel profondo ogni volta che si legge un post. È gestita da un ragazzo canadese di età indefinita, ma tendente alla ventina, massimo trenta, che ha coltivato la sua passione per la scrittura, possiede una grande sensibilità e un modo del tutto diverso di vedere le cose.

Si chiama Atticus e si conosce molto poco di lui. Non si fa vedere in pubblico, non si mostra più di tanto e se lo fa porta con sé una maschera, perché gli risulta più facile esprimersi rimanendo anonimo e non svelando la sua identità. Questo di certo è il tratto caratteristico di questo ragazzo così intraprendente e capace di emozionare un grande pubblico sempre in attesa di un suo nuovo aggiornamento.

Le sue poesie vengono pubblicate nero su bianco, nella dimensione Instagram dell’immagine, il classico e ormai famosissimo quadrato, attraversato da semplici parole ordinate con destrezza da una mano cosciente e una mente sensibile.

Atticus non è un poeta che si esprime con lunghe strofe, spesso e volentieri gli bastano due righe e il concetto è già perfetto così, chiaro e tondo, come piace all’attuale generazione del tutto e subito.

La poesia non si è lasciata sopraffare da questo mondo vorace e veloce, si è adattata nelle sue nuove forme e nei suoi nuovi spazi e continua ad essere seguita da un grande pubblico attento e critico, che viene nuovamente coinvolto da questo genere letterario un po’ dimenticato, ma che è sempre stato presente e che mai morirà.


 

 


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