Per molti l’arte è un dono, per altri una conquista, per qualcuno è addirittura una condanna. Quel che sembra essere certo è che quando c’è e fa parte dell’essenza di chi la possiede, diventa totalizzante, scandisce ogni attimo vissuto e si sovrappone alla vita stessa.
Davide Uria, per esempio, ha dovuto presto fare i conti con quello che significa essere un artista eclettico e versatile. L’arte si è presentata davanti alla porta di casa sua sotto forma di parole e versi e allo stesso tempo nelle sembianze di linee di carboncino, in cerca di un foglio bianco su cui essere tracciate. Uria, classe 1987, è un poeta e un illustratore di Trani. Dopo aver raggiunto il podio del concorso nazionale di poesia “Segni di Appartenenza”, egli si diploma in Pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Bari e continua parallelamente a scrivere a disegnare. Proprio quest’anno la casa editrice viterbese Augh! Edizioni, specializzata nella valorizzazione di artisti emergenti, permette a Davide di pubblicare la silloge poetica Trame d’Assenza.
La raccolta poetica, dedicata ai sognatori, a chi lotta e a chi non perde la speranza, contiene più di cinquanta componimenti in versi liberi, tutti accomunati dalla figura di un io lirico che contempla la natura, la interroga e la respira a pieni polmoni, fino a diventarne parte: gli occhi diventano stelle, ad esempio, e le braccia rami spogli tesi verso il cielo (Se mi cerchi/sono tra le foglie leggere/a misurare il vento/ a rintracciare le soglie di questo cupo inverno). Il confronto con gli elementi naturali è un pretesto per guardarsi dentro, per fare i conti con la solitudine, il disagio e l’assenza. Proprio quell’ assenza che è talmente prepotente da divenire concreta. Un’assenza che diventa presenza, insomma, e si materializza nelle fitte trame poetiche tessute dall’autore. L’unica soluzione all’assenza, la sola possibilità di riscatto dalle inquietudini dell’anima sembra essere qui il contatto con l’altro, con l’alto e soprattutto con la poesia. “Ho fatto tesoro di parole mai pronunciate/in loro trovo riparo, conforto” dice Uria nella poesia Giorni.
A seguire la nostra intervista a Davide Uria.
Ciao Davide! Tu sei poeta e illustratore, possiamo dire quindi che l’arte e la creatività sono senza dubbio tasselli fondamentali nella tua vita. Quando hai capito di avere un talento artistico e letterario e come lo hai valorizzato? L’arte occupa da sempre uno spazio centrale nella mia vita, da bambino passavo pomeriggi interi a disegnare, poi è arrivata la scrittura. Non sono cose che si capiscono, almeno razionalmente, sono azione per me del tutto spontanee e naturali, sicuramente necessarie. Ecco, forse a un certo punto ho avvertito questa esigenza creativa imprescindibile, senza la quale non sarei riuscito a sollevarmi, a rinascere. La scrittura principalmente è stata fondamentale, perché col tempo è diventata la cura ai turbamenti, una terapia vera e propria. Non credo di essere o di avere un talento preciso, sarebbe un atteggiamento sbagliato e presuntuoso, ho sempre preferito scrivere o disegnare per me stesso, non avendo mai avuto una meta precisa, come la pubblicazione di un libro. Considero più importanti il mio punto di vista e i miei sentimenti, quello che è arrivato in seguito è semplicemente una conseguenza quasi naturale.
La tua raccolta mi ha fatto in un certo senso pensare al Romanticismo, corrente caratterizzata da uno sguardo malinconico e da un atteggiamento estremamente contemplativo nei confronti della natura. I poeti romantici rientrano tra i tuoi modelli letterari? Da chi altro ti sei lasciato ispirare?
Sicuramente le mie poesie sono il sunto di ciò che ho studiato e letto, di tutto ciò che ho visto e ascoltato. Come dici tu, le mie composizioni sono malinconiche e spesso fanno riferimento a elementi naturali. Una visione romantica delle mie poesie è certamente una connessione valida, ma ci sono richiami anche al Simbolismo e al Surrealismo.
Torniamo al topos della natura. In un mondo iperconnesso, in cui tutto nasce e muore alla velocità della luce, in una società tecnologizzata e industrializzata a livelli quasi fantascientifici, sembra non esserci più tempo da dedicare all’osservazione della natura e dei suoi ritmi più lenti. Nella tua raccolta, attraverso le tue metafore, invece torniamo un po’ indietro nel tempo, ci prendiamo una pausa da questa corsa che è la nostra contemporaneità, guardiamo il cielo e naufraghiamo dolcemente in questo mar. Perché questa attenzione alla natura? Da dove proviene? Cosa abbiamo ancora da imparare da lei?
Ciò che accade in natura è reale, non è artefatto. Probabilmente sentivo la necessità di tornare alle origini, trovare delle risposte alla mia ricerca, attraversando lo stato primordiale delle cose. La natura rispondeva alle mie esigenze perché è sincera: buona e malvagia ma sempre onesta e genuina. La tecnologia mi affascina, francamente al momento non saprei più farne a meno, e in un certo senso mi aiuta in molte cose, nel lavoro è una manna dal cielo. Secondo me è giusto darsi dei limiti, oltre i quali diventa dipendenza.
Si potrebbe notare leggendo la tua raccolta che il tuo modo di scrivere è spesso volto verso il tuo interno, le tue poesie sono introspettive, intime, sono diapositive di sensazioni molto personali. Eppure al tempo stesso c’è sempre un dialogo con l’Altro, invochi sempre un aiuto, un “noi” piuttosto che un “io” (“Vengo a cercarti, ora/tra i pensieri, le rose/ e i tormenti svelati oppure “Donami nuvole/sulle quali volare/ e venirti a cercare/ quando i giorni/ si faranno/ spenti e pesanti). Gli stimoli esterni provenienti dalle storie degli altri influiscono sul tessuto della tua poesia o trai ispirazione soltanto dalla tua interiorità?
Cerco sempre di guardare dentro di me, scavarmi quanto più possibile, ci sono poi storie che magari non ti appartengono, ma che ti attraversano e ti scuotono così tanto che diventano le tue. Sono le storie di un amico o storie che ascolti per caso in treno, diventi un po’ la spugna del mondo ed è quando sei solo, hai in mente queste narrazioni, queste piccole polaroid, che devi in qualche modo raccontare.
Inoltre sembra esserci nella tua opera una completa consapevolezza dell’incertezza dell’esistenza (“raggelanti prospettive della nostra esistenza” oppure “in questo oceano di precarietà”).Come ti poni nei confronti di questa instabilità? La storia, gli stimoli sociali, l’attualità ispirano le tue poesie? Ognuno di noi a modo suo è un osservatore, c’è chi vede e chi scruta. Io non mi fermo mai alle apparenze, ho il vizio di uscire con un microscopio e analizzare tutto. Nelle mie composizioni ciò che è messo in risalto è certamente questo stato di emergenza, un’instabilità, una condizione d’incertezza dell’individuo che riecheggia in quasi tutta la silloge. Mi riferisco allo scenario politico italiano fatto da “malfattori” e “ignobili maschere”, alla mia posizione da agnostico e di critica nei confronti del sistema cattolico nel verso “la menzogna della vita ha compiuto la sua opera”. Non sono però un agitatore, cerco tra le righe di inserire dei miei pensieri riguardo determinate tematiche sociali, ma ciò che più mi importa sono i sentimenti dell’uomo, quelli piccoli, quelli che trascuriamo maggiormente e che sono vitali.
Essendo tu un artista versatile e sapendoti destreggiare sia con la poesia che con l’illustrazione hai mai pensato di far dialogare questi due talenti o preferisci continuino a viaggiare su binari paralleli? Credo che scrivere e disegnare siano due azione creative complementari e simili. Tutte e due le arti si compiono con le mani, per il disegno è importante il tratto, l’uso della matita, mentre per la poesia è fondamentale la scelta delle parole. Ma sono due modi per esprimersi del tutto connessi tra loro, non a caso ci sono libri illustrati, dove la parola fa capolino tra le tante immagini. Io ho sempre utilizzato questa duplice modalità di espressione, per non fossilizzarmi e per non esaurire le mie energie, per cui se le parole diventavano un vortice ingestibile e incomprensibile, disegnavo, o viceversa se il disegno prendeva strade che non rispecchiavano ciò che sentivo, mi mettevo a scrivere. Ci sono dei concetti che riesci a esprimere meglio con un determinato mezzo artistico.
Hai creato una playlist su Spotify che porta il nome del tuo libro. Come mai questa scelta? È fondamentale per te la musica nell’atto della composizione?
Sicuramente lo è. Ci sono canzoni che sono poesie e sono state un faro nella mia vita, non una guida ma un’ispirazione pura. La playlist è nata proprio per questo e diventa una cornice musicale alla mia raccolta, un racconto di ciò che ho ascoltato negli anni.
Davide, tu sei ancora molto giovane e hai deciso di provare a vivere di arte. Cosa significa nel 2017 fare questo lavoro? La nostra redazione e i nostri lettori sono principalmente millennials che sono in fase di “costruzione”, cosa ti senti di dire a chi come te vorrebbe vivere di arte o cultura? Non so se a trent’anni suonati un ragazzo possa definirsi “molto giovane”, sicuramente non sono vecchio, ma mi sento adulto. E non mi sento neanche un artista, un poeta, o un illustratore, semplicemente ho messo su carta ciò che sentivo, sotto forma di poesie e disegni. Fondamentalmente di arte non si vive o si vive poco. Un’altra mia grande passione è la comunicazione digitale in ambito culturale e anche in questo caso le possibilità sono pari a zero, figurati nel Meridione. Io mi sento ancora in costruzione, con pazienza devo costruire giorno per giorno il mio puzzle, nonostante le difficoltà e gli ostacoli. E certe volte, devo proprio dirlo, anche chi ti vuole bene e a cui vuoi bene, può esserti d’intralcio. Non mi sento di voler dare consigli, ognuno ha le proprie abitudini e il proprio modo di approcciarsi a un determinato problema, quindi perché interferire.
Hai nuovi progetti letterari in cantiere?
No, Trame d’Assenza è un progetto davvero importante, ha avuto una lunga “gestazione”. Proprio perché scrivere non è il mio lavoro ma un mio hobby, non devo forzarmi a scrivere se non ho nulla da dire. Questo è un atteggiamento che ho anche nella mia quotidianità: se non parlo, è perché fondamentalmente un determinato accadimento o non mi affascina o lo trovo così irritante da volerlo scansare.