Abbiamo visto come gli Stati cinquecenteschi, grandi e piccoli, e le loro dinastie sovrane siano in continuo scontro tra loro: sul piano territoriale e politico certamente, ma anche formale e religioso. Il tutto per creare una propria identità valida e solida, al fine di rendere il proprio regno il più autonomo possibile dalle ingerenze esterne. Ma di una cosa sono coscienti questi principi che tanto vogliono emanciparsi gli uni dagli altri: sanno di far parte di un’unica grande famiglia.
Le élite europee si riconoscono come membri della grande “repubblica cristiana”, ma non solo. Non esistendo un vero e proprio diritto internazionale, i sovrani continuano in parte a regolare i propri rapporti in base al codice cavalleresco. Ciò è possibile grazie all’uniformità culturale delle classi alte, in grado di “parlare la stessa lingua” nonostante differenti retroterra culturali. Significa cioè che hanno le stesse forme mentali, gli stessi comportamenti e gli stessi schemi interpretativi del mondo e delle relazioni.
Inoltre, l’unità delle dinastie regnanti è dovuta anche ad un altro fattore molto più semplice: sono tutte imparentate. Tra unioni ufficiali, rami cadetti, madrine e padrini, la rete è così fitta da toccare l’Europa intera. Proprio per questo motivo il matrimonio diventa un punto centrale, se non il più importante, di tutta la diplomazia di antico regime. È un continuo combinare matrimoni, sciogliere promesse, speculare, tessere trame di un intricato rimescolamento dinastico. Le unioni possono anche avere come fine la promozione o il consolidamento della propria posizione sociale e spesso avvengono tra consanguinei, grazie alle frequentissime dispense papali. Generalmente il matrimonio serve come necessario sigillo ad ogni accordo, alleanza o pace che sia, a simboleggiarne la durevolezza nel tempo. E anche se i trattati dovessero venir meno, le mogli, regine, principesse, duchesse, possono fungere da mediatrici tra le parti in causa, canali privilegiati di informazione e negoziazione.
In questa grande famiglia cristiana, gli incontri si moltiplicano, specie durante momenti turbolenti, a causa della pressante necessità di creare o consolidare alleanze militari. Celeberrimo il fastoso incontro al Campo del Drappo d’Oro nel 1520 tra Francesco I di Valois ed Enrico VIII Tudor, che culmina con la conferma del matrimonio tra il delfino di Francia e la primogenita d’Inghilterra, ma si concluderà poi con un nulla di fatto. Queste visite sono occasione per impressionare l’ospite e mostrare le proprie ricchezze, oltre ad esprimere il topos rinascimentale del principe che non si chiude nella sua regalità ma condivide gli stessi ideali della nobiltà e gli stessi modi di fare. Anche se in modo più sfarzoso ovviamente. Un principe amico, che si lega alle altre dinastie proprio grazie ad un’amicizia nata dalla sua simpatia e dal suo carisma.
L’abitudine degli incontri di vertice scema nella seconda metà ‘500 perché qualcosa cambia: i sovrani mutano la loro idea di sé stessi, della loro regalità e dei rapporti internazionali. Le negoziazioni passano direttamente nelle mani dei tecnici, degli ambasciatori. L’etichetta si rende sempre più complessa e i principi cercano di dare un’immagine di maestà immutabile, anche se privatamente provano la mancanza di quel senso di familiarità e di quei rapporti diretti che li rendevano parte di un’unica Cristianità. Il concetto di famiglia europea rimane, ma diviene più labile e astratto, anche se resta sempre una forte solidarietà contro il nemico comune: i sudditi in rivolta.
Alain Tallon, L’Europa del Cinquecento, Carocci Editore, 2013