Ogilala: il disco di cui Billy Corgan aveva bisogno

A distanza di oltre 10 anni dal suo ultimo (e primo da solista) album in studio Billy Corgan torna sulle scene con Ogilala (Martha’s Music, Reprise, BMG, 2017).

La copertina del cd che porta WPC ben in mostra.

Alcuni dettagli fondamentali per approcciarsi in modo corretto al disco.

Osservi l’artwork del cd e la prima scritta che salta all’occhio non è il titolo ma bensì “WPC” stampato a caratteri cubitali, più grandi del titolo stesso. Questo è il primo lavoro in studio completamente accreditato a William Patrick Corgan e non a Billy, pseudonimo utilizzato sin dai tempi dei Pumpkins. Se precisarlo è così importante per “William” significa che ciò che ci accingiamo ad ascoltare sarà il suo lavoro più intimo e personale fino ad ora.

Il disco è prodotto da Rick Rubin. Sono molti gli artisti che si sono rivolti al guru delle case discografiche per ritrovare la via del successo, un esempio su tutti Johnny Cash che è stato resuscitato da Rubin con un disco completamente acustico che lo vede come unico protagonista: American Recordings (American Recordings, 1994).

Queste sono le carte in tavola: un artista controverso che da anni cerca la sua strada fuggendo dalla pesante eredità lasciata con i Pumpkins, un produttore discografico specializzato nel rilanciare carriere e un album acustico nato da una collaborazione tra i due. Tutte le premesse portano a dedurre che Ogilala sarà un reboot del look e della carriera di Corgan. Ma ciò che con Cash ha funzionato sarà applicabile anche ad un’anima così profondamente diversa?

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Zowie è il brano che inaugura i 40 minuti completamente acustici e in totale assenza di percussioni di Ogilala.

Piccola precisazione: Zowie è il secondo nome di Duncan Jones, figlio di David Bowie e a lungo si è fantasticato sul fatto che il brano fosse stato scritto in onore del padre ma la smentita è arrivata da Corgan stesso.

I would love to write a song for David Bowie, i just haven’t

Corgan però rivendica una certa somiglianza con lo stile del duca bianco e ammette che la canzone è stata scritta in concomitanza con la morte del cantante.

Nelle successive 10 composizioni il lamento di Corgan è in gran parte accompagnato solo da chitarra e pianoforte. Per i più nostalgici fan degli Smashing Pumpkins che ancora sperano in una reunion della quale molto si vocifera, è un piacere rendere noto che le parti di chitarra e mellotron di Confessional sono state registrate da James Iha, storico chitarrista del gruppo. Che sia un segnale di riavvicinamento sul piano artistico dei due?

Le atmosfere di Ogilala sono decisamente rilassanti, ben distanti dal maltrattato universo dei Pumpkins e prive della malinconia onnipresente nella discografia precedente come un morbo endemico. Corgan sembra abbia voluto mettersi a nudo, spogliarsi della sua infinite sadness producendo brani appunto spogli di graffianti distorsioni, sperimentazioni elettroniche e arrangiamenti barocchi tipici del suo precedente discografico per dare spazio alla sua voce lasciata spesso in secondo piano.

Purtroppo questa trasformazione non convince a pieno. Ogilala corre perennemente su un binario asintotico ai grandi momenti carichi di pathos delle composizioni acustiche targate Pumpkins e finisce per stancare ben prima della sua conclusione.

Mr Pumpkins ha cercato una nuova identità con questo album ma mentre i fotogrammi del video di Aeronaut scorrono ci accorgiamo che qualcuno in completo bianco cantare di libertà (sembra essere questo il tema del pezzo come suggerito da Corgan sui social) l’abbiamo già visto.

Ogilala è un buon album di musica leggera, di facile ascolto per chiunque e con testi a tratti criptici che fanno riflettere, ma nulla più. È un disco che Corgan ha scritto più per se stesso che per l’ascoltatore:

“L‘unica era fare canzoni che mi piacessero davvero, profondamente, senza preoccuparmi delle reazioni dei fan o addirittura della casa discografica. Solo ciò che avrei amato

E ciò rende difficile, anche con ripetuti ascolti, penetrare davvero l’essenza di questa musica.

Detto ciò mi auguro che “William” abbia trovato la sua strada con questo album che definirei necessario affinché torni presto con nuova consapevolezza di sé a stupirci come ha fatto in passato. Se così non fosse, mi unirò alla cerchia dei nostalgici del vecchio Billy.

 


Fonti:

  • Il Mucchio Selvaggio Magazine (Novembre 2017, N.760)
  • SPIN 
  • SPIN  

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