È diventato piuttosto comune ascoltare discussioni e lamentele, che vedono coinvolti gli appassionati di film horror, a proposito di quella che sembra essere ormai una produzione piuttosto stagnante, che rende incerto il futuro del sopracitato genere cinematografico. Andando a ritroso negli ultimi anni, di pellicole che cercano di fare della paura il proprio segno distintivo è possibile trovarne a dozzine, ma quante di queste possono effettivamente dirsi originali, o quantomeno apprezzabili?
Uno sguardo eccessivamente critico rischia di polarizzare completamente la discussione, togliendo meriti a tutti quei film che ultimamente hanno saputo portare qualcosa di nuovo e farsi apprezzare dalla critica e dal pubblico, basti ricordare : la trilogia Insidious, The Neon Demon, It, The Witch e molti altri. Ciò però non basta per lavare via dal genere horror la vergogna di cui si è macchiato con le produzioni più recenti, tremendamente uguali fra loro, banali, prive di un reale contenuto e spesso involontariamente comiche, quasi sfociando nella parodia.
È facile immaginare come “Auguri per la tua morte”, tradotto dal ben più efficace titolo inglese “Happy death day”, sia uno dei titoli appartenenti alla seconda categoria: diretto da Christopher Landon e datato 2017, vede una giovane e bella studentessa (Jessica Rothe) scontrarsi con un serial killer dal volto celato, in un loop apparentemente senza fine, che condanna la ragazza a rivivere continuamente il giorno del suo compleanno, in attesa dell’ora in cui verrà uccisa. Il film stringe forte relazioni con il sottogenere horror “slasher”, caratterizzato da molteplici omicidi ai danni di giovani, generalmente in un ambito scolastico, ad opera di un serial killer che utilizza armi da taglio. Date le tutt’altro che originali premesse, l’elemento distintivo doveva essere l’introduzione della struttura ciclica degli eventi, in modo tale che la protagonista potesse modificare la propria conoscenza degli eventi circostanti e capire, morte dopo morte, chi si celasse sotto la maschera dell’assassino.
La pellicola tuttavia fallisce sotto ogni punto di vista, tanto da rendere difficoltosa la visione fino all’ultimo minuto. Nulla può essere salvato: di certo non la protagonista, resa artificiosamente odiosa per poi subire un processo di ingentilimento stucchevole e troppo repentino; la regia, così scolastica “urla” in ogni istante cosa accadrà nei secondi successivi, eliminando qualunque possibile spavento che, in ogni caso, viene ricercato esclusivamente grazie al noto sistema di jumpscare, che denota ancora una volta la scarsa abilità registica. Il serial killer, poi, fulcro imprescindibile di qualunque film slasher, è ridotto ad un uomo con una buffa maschera, che avrà l’accortezza di sferrare colpi a vuoto contro la protagonista ogni volta che la trama lo richieda, e di diventare un combattente preciso e infallibile in altre situazioni. Il colpo di scena finale, cioè la rivelazione dell’identità dell’assassino, potrà forse lasciare sorpresi alcuni spettatori, ma solamente perché pur di sorprendere, la trama oltrepassa le barriere della logica spingendo sotto la maschera del killer un colpevole inadatto e non credibile.
Per quanto riguarda la struttura ciclica della pellicola: il loop temporale, che doveva essere il punto di forza del film, si ritorce contro lo stesso rendendo il tutto ripetitivo, noioso e ridicolo. L’elemento parodistico, lungi dall’essere ben inserito nel tessuto filmico, lascia un retrogusto amaro che caratterizza i film di serie B: lo spettatore anticipa fin da subito che tipo di svolgimento avrà il film, e nello stesso tempo non riesce a scacciare il tedio ridendo delle scene meno verosimili. Tra queste ultime, vorrei almeno citarne due: il momento in cui la protagonista, intenta a spiare i possibili sospetti nascosta nel buio, si mostra con il viso pitturato di nero ad un visore notturno degno dei migliori film di spionaggio, e la sequenza che vede Jessica Rothe sfilare per il campus universitario completamente nuda, senza che esista un elemento comico né un motivo sensato dietro a questo gesto. Fatta eccezione per il fanservice, ovviamente.
Visione diretta