«Ero a letto e dormivo profondamente, quando piacque al cielo d’inviare i Bulgari nel nostro bel castello di Thunder-ten-tronckh. Sgozzarono mio padre e mio fratello, e fecero a pezzi mia madre. Un bulgaro gigantesco, alto sei piedi, vedendomi svenuta a uno spettacolo simile, prese a violentarmi, il che mi fece rinvenire; ripresi i sensi, gridai, mi dimenai, morsi, graffiai, volevo strappare gli occhi a quel grosso bulgaro, ignorando che quanto stava succedendo nel castello di mio padre era cosa consueta: il bruto m’assestò una coltellata nel fianco sinistro di cui porto ancora il segno».
Così comincia il capitolo ottavo dal titolo “La storia di Cunegonda”, del romanzo satirico di Voltaire che porta il nome di “Candido” o “L’ottimismo”.
In Westfalia, nel castello di proprietà del barone di Thunder-den-Tronckh, vive un giovane che porta il nome di Candido. Il suo precettore è Pangloss e insegna a lui e alla figlia del barone, Cunegonda. I due fanciulli provano qualcosa l’uno per l’altra, ma un giorno, mentre si danno il primo bacio, il padre di Cunegonda li coglie e, di risposta, caccia Candido dalle sue terre. Poco dopo l’allontanamento del giovane, arriva un gruppo di Bulgari che irrompe nel castello uccidendo il barone e la baronessa, e in seguito violentano Cunegonda per poi portarla con loro. Questo l’episodio che rompe la realtà idilliaca presentata all’inizio da Voltaire.
Alla fine del romanzo, dopo svariate peripezie, ritroviamo i nostri personaggi cambiati: Candido è ormai un uomo e Cunegonda una donna; assieme ad altre figure incontrate durante il loro percorso decidono di vivere in una piccola fattoria a coltivare il proprio orto.
Nell’estratto è possibile notare come la protagonista del capitolo racconti le sue esperienze, in particolare come ha vissuto il momento dell’assalto al castello, ma ancora più interessante è vedere come ha vissuto il momento dello stupro.
La narrazione sembra essere caratterizzata da un elenco di azioni, quasi come si volesse comunicare la poca importanza dell’evento.
Sotto un punto di vista psicologico è possibile vedere come il narratore intradiegetico sembra quasi aver riflettuto sull’accaduto e aver deciso di trascurarlo, cercando di dimenticare il fatto molto traumatico.
Ma come era considerata la donna nel XVIII secolo?
Nel Settecento c’era un forte contrasto tra la figura maschile e quella femminile: si soleva attribuire la donna alla materia e l’uomo alla forma, e dunque si affermava una supremazia del sesso maschile.
Nel XVIII secolo possiamo ritrovare un contrasto tra due idee: da una parte i filosofi che cominciavano a mettere in discussione la supremazia del sesso maschile, elaborando un nuovo concetto di individuo, mentre dall’altra parte vi erano gli illuministi che con il loro pensiero tagliavano fuori tutta la componente femminile.
Per ciò che concerne l’ambito letterario è possibile dire che si afferma sempre di più la centralità del tema dell’amore: la donna acquista via via un ruolo determinante all’interno delle opere letterarie, soprattutto nei testi teatrali tramite i quali venivano proposti nuovi modelli di comportamento.
Nel secolo preso in considerazione è possibile notare la differenza fra la condizione della donna di campagna e quella di città. Nelle campagne il lavoro era essere essenzialmente di tipo domestico e non vi era ampia circolazione monetaria, le donne svolgevano anche lavori praticati perlopiù da uomini e venivano retribuite. Per quanto riguarda la realtà urbana è possibile invece dire che il sesso femminile aveva particolare visibilità in ambienti pubblici come piazze e strade, e anche sul posto di lavoro.
Per concludere è possibile dire che la condizione del genere femminile al tempo di Voltaire non era poi così serena, ma anche oggi vi sono grandi disparità tra i sessi, nonostante la condizione, rispetto al Settecento, si possa dire fortemente migliorata.