DOSSIER| INDOSSIAMO SOSTANZE TOSSICHE

Ci prepariamo per uscire, scegliamo i nostri vestiti con cura per essere alla moda e mai banali. Azzardiamo anche abbinamenti eccentrici e inusuali per darci quel tocco in più di autenticità, e completiamo il tutto con la nostra immagine riflessa allo specchio, soddisfatti delle nostre scelte. Eppure, in tutta questa routine, quante volte ci fermiamo per interrogarci veramente sulle modalità di produzione, sulle condizioni di vita di chi “confeziona” questi abiti alla moda, ma soprattutto: quanto si paga tutto questo? Il costo più alto, in questo complesso sistema, è quello che colpisce ogni singola persona costretta a lavorare e vivere in misere condizioni di salute e sicurezza.
I rischi a cui questi lavoratori (per lo più donne) sfruttati e sottopagati sono esposti sono dei più diversi: si passa dai grandi problemi a impatto umano (come luoghi di lavoro non sicuri), a quelli ad alto effetto ambientale e, come sappiamo, natura e uomo sono due punti in stretta connessione all’interno di un cerchio continuo. Così, a un alto tasso di inquinamento nel sottosuolo proveniente dalle sostanze chimiche e tossiche scaricate nelle falde acquifere e che, in seguito, finiscono sulle tavole di quelle stesse donne, bambini e uomini, corrispondono gravi e irrimediabili problemi di salute. Ma a quale prezzo? Meno di due dollari al giorno.

Sostanze tossiche, ambiente e vestiti sono le tre parole chiave che interessano l’oscuro e nascosto lato del mondo della moda.
Una delle principali cause di morte, al giorno d’oggi, è strettamente legata all’industria tessile (seconda per tasso di inquinamento). A tal proposito, i principali rischi per la salute del consumatore sono connessi all’uso dei prodotti chimici usati per lavorare tessuti e vestiari di tutti i tipi. Un’accurata ricerca scientifica ha infatti calcolato che i due terzi di questi composti tossici contengono sostanze cancerogene.
Il male a troppi sconosciuto della “fast-fashion” ha fatto nascere in noi l’irrefrenabile bisogno di fare sempre nuovi acquisti, di possedere e custodire come un tesoro un capo acquistato a un prezzo “stracciato”. Ed è proprio l’aver risparmiato in un acquisto (inutile) che ci convince a spendere ancora, alimentando l’intenso sfruttamento che si cela dietro il nostro “essere alla moda”.
E’ stata Green Peace che, armata di tenacia e voglia di denunciare, ha analizzato i 20 principali brand della moda odierna (tra i quali gli ormai internazionali Zara, H&M, Benetton, Diesel, Armani, Gap e Calvin Klein) per scoprire un agghiacciante fattore che accomuna tutti questi: la consistente presenza di sostanze tossiche. Come si può immaginare, sono i paesi più poveri le vittime di questa complessa organizzazione. Grandi complessi industriali, senza scrupolo alcuno, riversano i residui di sostanze tossiche e chimiche usate per la produzione dei nostri vestiti nei canali di scarico, e dove andranno a sfociare? Nei corsi d’acqua, ovviamente, i quali a loro volta verranno utilizzati per l’irrigazione dei campi e, dunque, per l’agricoltura.
Sono cotone, lino e canapa i tre principali prodotti agricoli ad alto tasso di tossicità, e ciò che rende questo dato ancora più allarmante è il loro largo uso: vestiti, prodotti cosmetici e per la casa. Insomma, un complesso di sostanze chimiche con le quali entriamo in contatto fin da bambini, semplicemente indossando o toccando quei determinati oggetti colpiti da materiali tossici. Questo dato dimostra come non è indispensabile vivere nei luoghi di produzione e sfruttamento per essere investiti dall’onda chimica, perché il trasporto su scala globale di questi agenti tossici avviene a causa del diffuso consumismo che colpisce la società odierna.

Ma quali sono le principali sostanze tossiche presenti nei vestiti? E in quale aspetto della produzione possiamo ritrovarli?
Ammine aromatiche, alchifenoli etossilati, metalli pesanti, dimetilfumarato, clorofenoli, ftalati e coloranti. Forse nessuno di noi, se non un esperto in materie scientifiche, conoscerà l’esatta descrizione di questi agenti, ma ciò che più colpirà le nostre coscienze saranno i loro effetti sul nostro organismo: rischio di sviluppare cellule cancerogene, possibile comparsa di allergie, mutazioni genetiche. Ma lo stupore più grande è come queste sostanze, già negli anni 90, furono bandite dal commercio e come attualmente siano,ancora una volta, largamente utilizzate e riversate nei tubi di scarico i quali, in concomitanza di scarsi o assenti sistemi di depurazione, colpiscono anche la fauna acquifera.
E dove risiedono questi prodotti altamente inquinanti per la nostra salute? Nei prodotti di tintura, in coloranti, nelle fibre naturali usate nei lunghi periodi di stoccaggio, ma che di naturale hanno ben poco, in quanto viene impiegato un forte antimuffa per la conservazione delle fibre. E ancora, nella morbidezza dei nostri capi dovuta ai prodotti plastificanti presenti in essi, e nei pesticidi contenuti all’interno delle fibre naturali.
Ma come i gironi dell’Inferno Dantesco sono nove, anche la nostra indagine infernale non può fermarsi qui.
E’ stato documentato dal regista del film documentario “The True Cost” Andrew Morgan con immagini e filmati gli irrimediabili effetti dell’inquinamento tessile. Bambini nati con gravi ritardi mentali e fisici (come la paralisi totale degli arti), dovuti all’allattamento con latte materno inquinato dalle sostanze tossiche contenute nel sottosuolo, e, come si può immaginare, in precarie condizioni di vita le cure necessarie non sono accessibili alla maggior parte della popolazione, che costringe madri e padri ad aspettare la morte dei propri figli, per porre fine ad una sofferenza contro la quale non possono combattere. Donne e uomini con gravi malattie della pelle, come macchie, pustole, escoriazioni. E questi sono solo i danni visibili, in quanto le malattie sanguigne o immunitarie non sono escluse da questo complesso e preoccupante sistema.
A giovare di questa condizione sono soprattutto le case farmaceutiche, le quali mirano ad arricchirsi sempre di più mettendo sul mercato e vendendo farmaci indispensabili per far fronte a queste gravi malattie. E per chi non può mermettersi le cure, quali sono le possibilità? L’indebitamento, o l’accettazione della consapevolezza della propria morte, nel momento in cui si firma un contratto per lavorare a stretto contatto con sostanze tossiche.

E in questi gironi infernali ci sono delle vie di uscita per accedere al Purgatorio e, infine, al Paradiso?
Il primo passo da compiere è guardare attentamente le etichette, diventando consapevoli del proprio acquisto, al fine di non alimentare i big che si celano dietro il complesso sistema di sfruttamento. Inoltre, una presa di consapevolezza e l’aumento di denunce sulla tossicità per la salute, hanno permesso la creazione di nuovi tessuti ecologici e a scarso impatto ambientale, come Tencel e Modal. Questo, però, non significa che un indumento non ha effetti gravosi sulla vita delle persone solo se il tessuto utilizzato è di origine biologica; al contrario possono essere usati anche tessuti sintetici affinché rispettino le regole sociali e ambientali conformi alle modalità e luoghi di produzione imposte.

Se ora apriamo il nostro armadio e leggiamo le etichette, quante verità agghiaccianti si nascondono dietro i nostri capi preferiti?

 

 

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