Anche in Italia arrivano le condanne della vergogna. Non quelle che fanno scalpore, come si è visto recentemente oltreoceano con i casi di denunce per molestie riguardanti il mondo di Hollywood, ma quelle sommesse, quasi non degne di attenzione mediatica -e per questo ancora più pericolose: a ricordare, come monito inoppugnabile, che l’orrore può scavalcare le barriere delle grandi industrie e annidarsi anche in piccoli universi. Nessun nome altisonante, ma un misconosciuto fotografo franco-algerino cinquantenne: per lui è stata pronunciata, martedì 7 novembre, la condanna a 5 anni e 11 mesi di reclusione per aver molestato sessualmente cinque modelle.
A volte sono i potenti ad alzare la voce. La sentenza arriva un mese dopo il “caso Weinstein” e la decisione di Condé Nast di non pubblicare in futuro scatti del ritrattista di moda Terry Richardson, una delle “grandi firme” della fotografia accusato di molestie da parte di alcune professioniste del settore. E, soprattutto, dopo il gelido e distaccato giudizio della direttrice di Vogue America, Anna Wintour, e il suo appello in una recente intervista:
“Abbiamo tutti il compito di creare degli ambienti di lavoro sicuro, dove ognuno possa esprimersi e compiere il proprio mestiere senza paure di sorta“.
A proteggere, insomma, le categorie a rischio, che anche nel mondo delle passerelle sembrano aumentare ogni giorno in numero e terribili racconti.
Non sono i riflettori il problema, ma la presenza di alcune figure che dovrebbero occupare ruoli oggettivamente istituzionali che tuttavia non mantengono un comportamento professionale. È quanto ad esempio registrato dalla supermodella britannica Cara Delevigne: è lei ad affermare in un’intervista che molti sedicenti fotografi professionisti si lanciano in una carriera di questo tipo solo per avere a che fare con ragazze. Quali siano questi loschi tipi, la giustizia e le prime, tenui rivelazioni delle vittime stanno cercando di appurarlo, in un mondo che troppo spesso volge lo sguardo dall’altra parte in caso di situazioni scomode.
A volte invece l’iniziativa parte dalle stesse vittime. Qualche anno fa, in risposta al fenomeno sempre più diffuso dell’upskirt (l’acquisizione, tramite dispositivi mobili dotati di fotocamere, di immagini letteralmente “sotto la gonna” di soggetti di sesso femminile spesso ignari), ci fu la mobilitazione di una modella in Russia. La quale ha deciso di realizzare un video, successivamente caricato su YouTube e diventato virale, ambientato all’interno dei vagoni della metropolitana di San Pietroburgo, durante il quale si sollevava la gonna alla presenza di incauti passeggeri, apostrofandoli in un secondo momento con epiteti ingiuriosi.
A dire che la moda ha deciso di raccogliere la sfida della vergogna e rispondere. E ha risposto.