Aroti Bertelli non è una ragazza comune: nata India e successivamente adottata insieme al fratellino da genitori italiani, ha attraversato molte sofferenze nella sua vita: la più devastante sicuramente proprio la morte di suo fratello. L’anno scorso, Aroti ha partecipato all’avventura di Italiani made in India, insieme ad altri ragazzi indiani come lei cresciuti nel nostro paese: il programma è stato per lei l’occasione per riscoprire le sue origini insieme ai compagni, per ricongiungersi con quella cultura indiana che aveva abbandonato da bambina. Ma Aroti aveva un preciso obbiettivo: dire addio a suo fratello, tramite la cerimonia dello Shraddha.
Durante la sua infanzia trascorsa in India, Aroti era induista: la ragazza ha voluto ricongiungersi a quella tradizione, eseguendo un rito sul fiume Gange per il fratello nella città di Varanasi.
Varanasi, un tempo conosciuta come Benares, è la città del dio distruttore Shiva, sposo della dea Parvathi. Essa sorge sulle rive del Gange, nello stato federato di Uttar Pradeshed, ed è una città molto importante per gli induisti: ogni induista almeno una volta nella vita deve recarsi nella città e immergersi nel fiume sacro da 5 diversi ghats (rampe di scale, in pietra, che continuano fino a scomparire nell’acqua). Inoltre, la riva occidentale del Gange a Varanasi è l’unico posto per gli induisti dove gli uomini posso sfuggire al Samsara, l’eterno ciclo della reincarnazione, di morte e rinascita: nei secoli, milioni e milioni gli induisti sono andati a morire lì.
Aroti si è recata a Varanasi per celebrare il rito funebre per suo fratello: il Shraddha. La prima cosa che fa per prepararsi al rito è cercare al mercato un fiore di loto: il nome di suo fratello, Kamal, in indiano significa proprio fiore di loto. Ma la scelta del tipo di fiore è anche simbolica:
“Questo fiore nasce nello sporco, nel fango, nel putridume, ma quando sboccia, nella sua fragilità mostra tutta la sua bellezza, la sua purezza. La sua vita a volte somiglia alla nostra, sepolti da un mare sporco, di menzogne, ipocrisie, orrori, ma quando riusciamo ad emergere possiamo mostrare tutta la nostra bellezza. […] Il loto rappresenta una crescita spirituale un’illuminazione della mente che cerca la via per la verità e la luce. Chiunque può prendere il fiore di loto come esempio per cercare di migliorare, di crescere, di sorgere e mostrarsi. Per ottenere la saggezza e la purezza, bisogna prima di tutto emergere dall’oscurità, dal fango, da quello che ci opprime, dalla tristezza, dalla depressione e dall’oblio.”
La mattina della cerimonia Aroti, seguendo le usanze indiane, si lava e non mangia nulla; il vestito che sceglie è il bianco, che in India è il colore della purezza, della spiritualità e del lutto. Si acconcia i capelli a treccia, come le donne indiane, infine si trucca con il kajal, aggiungendo anche un piccolo bindi al centro della fronte.
Arrivata sulle gradinate sul fiume, ad attenderla ci sono i Bramani, la casta indiana più elevata, mentre, per terra, dei simboli delineano il luogo sacro. Shraddha è una cerimonia che dura ben quattro ore: in essa, non solo si ringraziano gli antenati, gli dei, ma si prega per interrompere il Samsara, liberando in tal modo l’anima del defunto. Ed è proprio questo lo scopo di Aroti: rendere libero suo fratello di andare dove lui desidera e al contempo liberare se stessa dal peso, dal dolore che si porta dentro.
Nel rito, vengono offerti dei doni alla Mata Ganga (la madre Gange): Aroti lascia andare il piatto con il suo fiore di loto e alcune candele, il tutto accompagnato da un biglietto:
Volete sapere qualcosa di più su Aroti? Siete affascinati dalla sua storia, dalla sua vita e dalla sua esperienza in India? Venite a trovare Lo Sbuffo il 2 dicembre alla Casa dei Diritti! Aroti in persona verrà a narrarci di lei…