Cercate sempre chi sa cogliere la rosa nel vostro seme. E’ con queste parole che io, ventunenne utopica e sognatrice, ho deciso di scrivere una lettera al D’Avenia, con la speranza che un giorno potrà capitargli tra le mani. Sì, una lettera ad uno scrittore, che con i suoi romanzi è stato in grado di capirmi anche a distanza di chilometri. Circondatevi di persone positive, circondatevi di amore e passione, perché il bene genera bene: questo è il messaggio che ho letto fra le righe dei romanzi del suddetto autore in questione, e in particolar modo, è ciò che ho ritrovato nella pagine di L’arte di essere fragile.
D’Avenia nel suo libro ci insegna ad essere “predatori di felicità”, a farci guidare sempre e in ogni dove da una passione assoluta che mai si spegne. E lo fa utilizzando come protagonista della storia un personaggio che può sembrarci paradossale. D’Avenia ci parla di un Leopardi nuovo, quasi fanciullo, denudato di tutti quei preconcetti e quelle false credenze con cui siamo soliti additarlo. Un Leopardi che non è più associato ad un ragazzo solitario e infelice, chiuso al buio della sua biblioteca di Recanati, tutto concentrato tra le sue “sudate carte”. Dal genio della penna del D’Avenia, prende forma e vita un Leopardi che si sente pienamente riscattato, un Leopardi più vero che mai, che sogna e ama infinitamente la vita. I sogni sono possibili e realizzarli non è soltanto il traguardo: il bello sta nel mezzo, nel sudore, nella fatica, negli “studi matti e disperatissimi”, nello stomachevole retrogusto di insoddisfazione che mai ci abbandona, ma che sappiamo essere il giusto prezzo da pagare per riuscir un giorno a sorvolare vette che in precedenza potevamo soltanto immaginare.
“E’ compito arduo, quello dell’insegnante, soprattutto in questo nostro disperato secolo di materialismo e fuggevolezza. Ma niente, e dico niente, è paragonabile alla cotal bellezza che vi è negli occhi di un ragazzo quando riesce a vedere nel riflesso dei nostri che abbiamo colto la rosa che vi è nascosta nel suo seme.” La penna si lascia trasportare sul foglio dall’estasi provocata dalla lettura di questo libro, mentre decido di dedicare queste parole proprio al suo autore. Un libro che sembra un vero e proprio inno alla vita, nonostante parli di un personaggio, che dall’alba dei tempi, è sempre e solo stato associato all’infinita vanità del tutto e al più spregiudicato pessimismo.
Per questo motivo, io, ho scritto queste poche righe al D’avenia, per ringraziarlo d’aver visto la rosa nel mio seme, anche senza avermi mai davvero guardato negli occhi. Ringraziarlo poiché mi ha dato modo di crescere personalmente e professionalmente, dandomi modo di vedere il Leopardi sotto una luce nuova. I tormenti, l’amore non corrisposto, l’infinito male di vivere che lo tormentano, ne fanno un personaggio, anziché depresso e pessimista, ardente e appassionato.
L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita la premessa di questo piccolo libricino dice già tutto. Un Giacomo sensazionale, quello che ci viene presentato dal D’Avenia, non più corpo vuoto che tristamente cammina, ma un cercatore di bellezza, un cacciatore di emozioni, che sa di trovare nelle piccole e semplici cose dell’esistenza, un uomo che cerca di rendere felice e feconda la sua esistenza piena di drammi e imperfezioni. Un uomo fragile che ci insegna ad essere felici.
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