L’acqua, si sa, è un bene prezioso. Essenziale per la vita, è un bene da tutelare e preservare. La facilità di fruizione cui sono abituati gli abitanti delle grandi città, fa spesso dimenticare loro quanto precario sia l’equilibrio del nostro ecosistema: si apre il rubinetto e l’acqua scorre limpida e abbondate e non ci si sofferma mai a pensare a quanto fortunati si sia a godere di un simile privilegio.
Al contrario. Lo si dà per scontato, lo si considera un bene dovuto dallo Stato, cui delegare (magari anche inconsapevolmente) la responsabilità di assicurare alle proprie case un costante afflusso di acqua. Per questo motivo capita spesso che se ne abusi, trascurando il valore immenso e insostituibile di quella materia che con spregio si lascia scorrere nello scarico.
Eppure basta spostarsi di poco, anche nella sola Italia, per raggiungere zone dove l’acqua non è un bene così scontato.
I recenti fatti di cronaca romana hanno fatto riferimento alla possibilità di un razionamento dell’acqua per gli abitanti della capitale. In sostanza, si discuteva dell’opportunità di creare dei turni di 8 ore durante le quali i cittadini si sarebbero trovati senz’acqua corrente. Scaldalo. Quale blasfemia. Roba da terzo mondo. Le fonti di informazione amano spesso centellinare le informazioni trasmesse alla massa di spettatori cui si rivolgono. Nel caso specifico hanno evitato di ricordare il fatto che in gran parte del Paese tale situazione esiste già. È la norma, avviene tutti i giorni per tutto l’anno, nessuno stupore né scalpore. Non si tratta di un reale razionamento, quanto di una sostanziale carenza di acqua. Una quantità tanto ridotta da non essere in grado di soddisfare tutte le utenze. Per questo motivo le abitazioni sono dotate di un apparecchio comunemente noto come autoclave.
L’autoclave è in verità un impianto presente in quasi tutte le abitazioni ed è grazie a lui che l’acqua viene spinta nelle abitazioni nel momento in cui avviene la richiesta d’acqua. L’acqua corrente viene erogata alle singole abitazioni attraverso una pressione, che può variare a seconda delle ore, del consumo generale e della posizione del punto di consegna. Un edificio a più piani potrà vedere per esempio un flusso d’acqua meno regolare negli ultimi o nei primi piani, così come, in caso di richieste numerose di acqua potrebbe verificarsi un calo di distribuzione generale.
Per ovviare a questo inconveniente viene solitamente installato un autoclave, che ha lo scopo di incrementare la pressione. Semplificando, l’autoclave è dotato di una pompa e di una camera d’aria (polmone). L’acqua dell’acquedotto viene spinta dalla pompa nella camera d’aria, l’aria si comprime, aumentando la pressione. Raggiunta la pressione massima stabilita la pompa si spegne. Quando un rubinetto viene aperto si verifica un piccolo aumento di volume dell’aria (e quindi una diminuzione della pressione) che permette l’uscita dell’acqua dal rubinetto aperto. Fin qui, la norma. Tali autoclavi sono però talvolta dotati di serbatoi di immagazzinamento dell’acqua. Quando l’acqua fatica ad arrivare, e dunque non si crea la giusta pressione per il normale funzionamento dell’impianto, subentra il serbatoio.
Tale eventualità è la norma per molti paesi italiani, in prevalenza nel meridione, dove la disponibilità d’acqua è minore che nelle regioni settentrionali. Capita a volte (spesso, se si è invece privi di un autoclave con serbatoio) di girare la manopola e scoprire che l’acqua non esce, e il gorgoglio agonizzante che si sente provenire dal rubinetto nel momento della triste scoperta è un suono piuttosto comune e familiare ai più. Le motivazioni sono diverse, dalla richiesta eccessiva di acqua, ai campi che vengono irrigati con quella stessa acqua, ad un guasto, ecc.… Ma la più grave e la meno perdonabile è la situazione disastrosa delle condutture. Un terzo del liquido viene perso, 89 metri cubi annui, una quantità tale che basterebbe a soddisfare le esigenze annue di più di 10 milioni di persone.
Tutto questo non serve comunque a far sorgere negli abitanti una maggiore sensibilità, il che lascia supporre che, forse, una totale e ciclica chiusura degli acquedotti sarebbe utile, più che per preservare le riserve idriche (intaccate dalle aziende più che dai cittadini) a far prendere coscienza di cosa significherebbe vivere in mondo senz’acqua.