Sembrava andare tutto bene per il Belize e per i suoi coralli. Il paese del Centro America può contare su una parte della più grande barriera corallina al mondo, seconda solo a quella australiana. E anche contro nemici agguerriti, come l’inquinamento e il cambiamento climatico, questo stato ha fronteggiato la minaccia per i suoi coralli con progetti di restauro ecologico. Secondo un recente rapporto, infatti, la superficie coperta da coralli in Belize è cresciuta dal 10 al 17,5% dal 2006. Un ottimo risultato, considerata l’enorme fragilità di questa specie. Se non fosse che i dati riportano un altro problema che si sta diffondendo. Le incontaminate spiagge del Belize si stanno riempiendo di resort affollati e case vacanza, che rischiano di creare problemi per la barriera. In poche parole, ciò che potrebbe distruggere definitivamente il corallo è il turismo.
Vivendo in un paese dall’inestimabile patrimonio storico e artistico, tutti noi siamo abituati a sentirci dire che il turismo è la soluzione a tutti i nostri mali. Soprattutto di tipo economico. Il quadretto è piuttosto semplice: i turisti arrivano; i turisti spendono; i turisti si arricchiscono di esperienze; i locali si arricchiscono. In poche parole, ci guadagnano tutti. L’elemento che però viene di solito escluso da quest’analisi è l’ambiente, sociale o naturale che sia. Come giustificare, ad esempio, una nave da crociera che inquina come un milione di automobili? Per ambiente, come accennato, non si intende solo ed esclusivamente la natura: sono sostenibili per una cittadina di 55,000 abitanti 20 milioni di visitatori annui? La cittadina in questione è una certa Venezia.
Sono temi che fanno riflettere, anche nell’ottica del 2017 come “Anno Internazionale del Turismo“, indetto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo. Obiettivo fondante di questa iniziativa è la diffusione di un’idea di turismo sostenibile, che aiuti le popolazioni locali e sia rispettoso dell’ambiente. Ma sono in molti a sostenere che questo tema sia troppo di nicchia. Di competenza degli esperti del settore, non dei milioni di turisti che intasano ogni anno i siti di hotel e voli low-cost.
Tutto ciò solleva numerose domande, a cui non si ha la pretesa di dare qui una facile risposta. Se non si riuscisse a conciliare turismo e ambiente, l’unico modo sarebbe limitare il primo? E chi avrebbe il compito di decidere chi può viaggiare e chi no? Un ritorno al viaggio come lusso per pochi sarebbe anacronistico, oltre che incredibilmente problematico. Ma i maggiori problemi deriverebbero proprio dal turismo a basso prezzo, che da una parte fa schizzare alle stelle la domanda, dall’altra tende a sacrificare quasi tutto per mantenersi economicamente competitivo. Tutela dell’ambiente e preoccupazioni per la popolazione locale incluse. Esiste un modo per far sì che tutti abbiano la possibilità di viaggiare senza scaricare un peso eccessivo sull’ambiente? È possibile far rientrare la natura nel semplice schema di prima, in cui tutti guadagnano qualcosa?
Attualmente, la risposta non sembra essere positiva. Il numero di turisti continuerà ad aumentare, ma a questo incremento non corrispondono cambiamenti radicali ed estesi nell’industria del turismo. L’idea di un turismo sostenibile sembra ancora appannaggio di pochi, e l’impatto di un nostro viaggio su ambiente e abitanti locali non è certo tra i nostri primi pensieri quando compriamo un biglietto aereo o scegliamo un appartamento da affittare. Forse pensiamo che tutto ciò possa essere troppo costoso per le nostre tasche. Ma non deve per forza essere così. Secondo Kelly Bricker, del Global Sustainable Tourism Council, il turismo sostenibile dovrebbe anzi essere sinonimo di risparmio. Non bisogna pensare solo ad un lussuoso resort in mezzo ad una foresta tropicale, quando si pensa a questo tema. Può rientrare nel turismo sostenibile anche la scelta di strutture radicate nel territorio, o anche il semplice rispetto della comunità locale.
Quando si parla di turismo sostenibile, non si parla necessariamente neppure di punture di insetti e farsi strada in mezzo alla giungla con un machete. Anche interagire con la comunità locale, o adottare misure che riducano l’impatto ambientale possono rientrare in questo ambito. Ad esempio, molte strutture alberghiere stanno facendo in modo che i propri ospiti riutilizzino asciugamani e teli. Un primo passo verso un approccio più rispettoso per l’ambiente, anche se non mancano le forti critiche. Secondo la giornalista britannica Siobhan Norton, operazioni come questa servirebbero solo per “pulirsi la coscienza”. Un modo come un altro per evitare di affrontare il vero problema, cioè riformare l’intera industria del turismo.
Anche se questo non sarà un cambiamento facile, né tanto meno veloce, la buona notizia è che ognuno può fare la propria parte. Se usare lo stesso asciugamano per l’intera vacanza non dovesse bastare, si può intervenire sugli altri aspetti del nostro viaggio. I consigli più frequenti riguardano il viaggio stesso: preferire mezzi alternativi all’aereo per tratte brevi, e viaggi diretti, senza scali, per tratte medio-lunghe, magari con compagnie che investano su progetti innovativi come biocombustibili. E ancora, si possono privilegiare prodotti locali, scegliere alloggi in zone meno turistiche e più ancorate alla realtà locale, fare esperienze di volontariato (sempre considerando le proprie capacità e i propri limiti).
E per quanto possa sembrare incredibile, il fenomeno è in realtà più diffuso di quanto non sembri a prima vista. Una ricerca di Booking.com ha rivelato, ad esempio, che il 65% dei viaggiatori nel 2017 è in cerca di un alloggio eco-sostenibile, il doppio rispetto al 2016. E la differenza la potrebbero fare proprio i tanto vituperati millennials. Secondo la piattaforma online NOW, che si occupa di turismo eco-sostenibile, essi sarebbero il gruppo di gran lunga più attento a una forma di viaggio rispettosa dell’ambiente e della comunità locale. Forse sarà la nuova generazione a salvare il corallo del Belize.