La donna che non ha potuto dire “no”: la novella illustrata da Botticelli

Una donna è sempre libera di dire “no”?
Quello tra il consenso ed il rifiuto, tra il “sì” e il “no”, non è un labile confine, ma si tratta piuttosto di due categorie assolute e nettamente divergenti che, purtroppo, non tutti gli uomini riescono o vogliono accettare. È così che allora una donna non è più libera di esprimere un rifiuto.

Una donna corre, ansima ed ha la paura negli occhi perché sa che non deve fermarsi. Non si preoccupa più del fatto che sia nuda, teme solo per se stessa; non capisce ed è in panico, istintivamente urla. Nella sua testa il mondo si ferma, sente solo il concitante rumore degli zoccoli, le grida del cavaliere e l’abbaiare dei cani. È perduta.

Questo è ciò che Sandro Botticelli ha rappresentato nello sfondo del dipinto eseguito nel 1483 ed è tratto dal Decameron di Giovanni Boccaccio, precisamente del secondo episodio della novella di Nastagio degli Onesti (giornata quinta, novella ottava). La novella si svolge in una Ravenna duecentesca dove Nastagio, un nobile che ha ereditato ampie ricchezze, brucia d’amore per una giovane donna, più nobile e ricca di lui – appartenente all’importante famiglia Traversari – che però lo rifiuta. Pensa da subito che l’ostacolo alla realizzazione della passione amorosa risieda proprio nel carattere, crudo e sprezzante, della bellissima donna:

“quantunque grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica gli si mostrava la giovinetta amata, forse per la sua singular bellezza, o per la sua nobiltà sì altiera e disdegnosa divenuta, che né egli né cosa che gli piacesse le piaceva”.

Botticelli, Primo episodio, 1483, Museo del Prado, Madrid

Decide dunque di farla ricredere obbligandola ad assistere al supplizio subito da un’altra donna dal cuore di ghiaccio, che come lei aveva rifiutato il matrimonio. Si tratta della visione di una “caccia infernale”, a cui Nastagio assisteva ogni venerdì, nello stesso luogo. L’innamorato respinto era un avo del protagonista, il cavalier Guido degli Anastagi, egli inseguiva l’amata cavalcando il suo destriero, la raggiungeva, poi la uccideva ed infine ne estraeva il cuore ed i visceri, per darli in pasto ai propri cani. Tale punizione veniva riproposta per tanti anni quanti erano stati i mesi in cui la donna ne aveva deriso il sentimento e ricominciava non appena lei risorgeva.

“Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi, era troppo più innamorato di costei, che tu ora non sé di quella de’ Traversari, e per la sua fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura, che io un dì con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle pene etternali dannato. Né stette poi guari tempo che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu ed è dannata alle pene del Ninferno. Nel quale come ella discese, così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l’amai, di seguitarla come mortal nimica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l’altre interiora insieme, sì come tu vedrai incontanente, le caccia di corpo, e dolle mangiare a questi cani”.

Botticelli, Secondo episodio, dettaglio, 1483, Museo del Prado, Madrid

Per le nozze di Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini, il pittore dipinge quattro quadri della storia d’amore tratta dal Decameron, nei quali coglie le acerbe e sprezzanti parole dell’autore, che racconta le sue “parabole” con crudo realismo, conferendo ad esse una concretezza decisamente terrena. Il pittore fiorentino utilizza a sua volta tale crudezza, ben riscontrabile nella scena del secondo episodio. Infatti la nudità che Botticelli realizza è una falsa purezza: la candida pelle della donna ricorda quella levigata della Venere degli Uffizi, ma presenta una sorprendente novità, è squarciata. Botticelli mostra quel che va celato: la vita sotto la carne. È con questo dettaglio che l’artista rivela la violenza dell’atto, mostra l’irrappresentabile lasciando attonito l’osservatore.

Botticelli, Terzo episodio, 1483, Museo del Prado, Madrid

Nastagio aguzza l’ingegno e organizza un pranzo per il venerdì successivo, invitando la donna amata con amici e genitori. Puntualmente alla fine del banchetto la “caccia infernale” si ripete. Dopo aver assistito alla scena cruenta, la donna amata da Nastagio terrorizzata si ravvede, cedendo all’amore del giovane. Insieme a lei tutte le donne ravennati diventano più caute nel rifiutare gli innamorati, timorose di fare la stessa fine della donna protagonista del supplizio.

Botticelli, Quarto episodio, 1483, Palazzo Pucci (collezione privata), Firenze

Questa novella si conclude con un lieto fine e mentre tale finale, probabilmente, rassicurava le aspettative del pubblico rinascimentale, lascia invece un po’ incerto quello dei nostri giorni. Infatti estrapolando il racconto dal suo contesto fantasioso e fuori dal tempo e provando a ricontestualizzarlo in una dimensione odierna, si individua un certo tipo di messaggio: molte donne, immedesimandosi nella figura obbligata ad assistere al supplizio, subiscono a loro volta una costrizione che nella società contemporanea possiede un nome specifico, la minaccia, seguita da quel “altrimenti” che non lascia alcun diritto di scelta. Di conseguenza quelle donne dicono “sì”, quando invece vorrebbero tanto poter dire “no”.

Parole e immagini di questo episodio ci conducono, oggi, ad una riflessione che si potrebbe riassumere in un semplice quesito: perché il concetto di possesso prevarica quello di libertà?


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