“they’re burnin’ all the witches even if you aren’t one”
Non prendiamoci in giro: sulla sua presunta reputazione Taylor Swift ci ha costruito una carriera. Dolce e pura ragazza di campagna all’inizio (Da Taylor Swift a Speak Now), tormentata donzella sedotta e abbandonata in Red, impertinente in 1989. Un album come Reputation, dunque, almeno concettualmente parlando, era lo step necessario per proseguire nel suo percorso artistico. Ricorda quasi quello che è successo a un’altra popstar, esattamente dieci anni fa – ma l’album in questione si chiamava Blackout…
Per l’ennesima volta, quindi, Swift è riuscita a catalizzare l’attenzione dei media, attraverso una campagna ben studiata: diffondendo visual con serpenti (richiamando appunto quello che è un soprannome affibbiatole dai suoi detrattori), rilasciando una canzone poco cantata, con un testo irriverente e in contrasto con l’approccio che aveva avuto finora con le critiche a lei rivolte. E dopo aver rotto ogni record su YouTube con il singolo in questione, Look what you made me do, l’attesa per l’album si è fatta inarrestabile.
Non si può dire che le aspettative siano state disattese: sebbene Reputation contenga al suo interno pezzi che che potrebbero benissimo far parte di suoi vecchi album, nel complesso si tratta di un piccolo passo avanti nella carriera pop di Taylor. La produzione è terribilmente azzeccata e contemporanea (grazie alla collaborazione con Jack Antonoff, produttore di Lorde e frontman dei Bleachers), e la scrittura – che è sempre stata la punta di diamante dei suoi dischi – sembra più articolata e ragionata rispetto a quella filastrocchesca di 1989, fresca sì ma forse troppo accessibile – e forse per questo motivo risultata così di successo.
In conclusione, l’impressione è che Swift abbia tentato di andare ai limiti della sua comfort zone, senza però uscirne sul serio: se i primi sei pezzi – che, per inciso, sono i migliori dell’album – mostrano toni più cupi (…Ready for it?) e quasi di autodenuncia (I did something bad), qualcosa di totalmente nuovo nella narrativa di Taylor, il resto dell’album sembra composto da canzoni provenienti da 1989 che in più hanno solo un restyling alla produzione. Canzoni semplici, piacevoli ma – come detto prima – troppo accessibili, e soprattuto di livello inferiore ai pezzi in cui il talento di Taylor si mostra al suo culmine. Nel complesso risulta un album piacevole – sicuramente superiore a 1989 e quindi il migliore della sua carriera pop -, ma le potenzialità sono molto più alte.
(di Giuseppe Allegra)
«Mi dispiace, la vecchia Taylor non può rispondere al telefono. Perché? Perché è morta».
Così recita un verso della canzone Look what you made me do, il primo estratto del nuovo album di Taylor Swift. Ma è morta davvero la vecchia Taylor? Io non credo, piuttosto direi che è rinata dalle ceneri, o meglio, ha cambiato pelle proprio come un serpente. Infatti, prima dell’uscita di Reputation Taylor non vantava affatto di una bella “reputazione”, dal litigio con Kim e Kanye ne era uscita sconfitta: gran parte dello star system si era schierato contro di lei e l’epiteto “vipera” continuava a circolare nei suoi social.
Eppure, contro ogni aspettativa, ha cambiato le sue sorti e ha usato la sua nuova immagine di vipera per fare un album, già record di incassi.
Con l’uscita del secondo estratto dell’album: … Ready for it?, risulta evidente che la nostra Taylor non è morta. Certo, ora è più arrabbiata, determinata, l’atmosfera è più cupa e dark, ma il ritornello direi che potrebbe perfettamente appartenere a una canzone di uno dei suoi primissimi album. Così come Gorgeous, Getaway car e King of my heart ricordano molto 1989. Vere novità sono: I did something bad e Don’t blame me, in cui l’influenza dell’elettropop si fa più sentire con l’utilizzo dei sintetizzatori e bassi da dubstep.
Carina anche End Game, molto attesa per la collaborazione con Ed Sheeran. In questa canzone Taylor si rivolge a un ragazzo che sembra finalmente quello giusto, ma deve confrontarsi con la sua cattiva reputazione.
In conclusione, si tratta di un album in cui la vecchia Taylor non è affatto morta, ma è una delle tante Taylor che si susseguono nelle diverse tracce. Infatti, direi che lo scopo di questo album non è solo quello di mostrare una nuova Taylor, ma è anche una critica nei confronti dei media che hanno cercato in tutti i modi di etichettarla, fino a farla apparire come una vipera ipocrita. Con questo album Taylor non nega del tutto le accuse, infatti in I did something bad canta:
“They say I did something bad, ah!
Then why is it feel so good?”
Ma mostra anche molti altri lati della sua persona. Ma ovviamente, i social, i magazine e il gossip non aspirano mai a mostrare le diverse sfaccettature della personalità delle nostre amate celebrità e tendono a restringere il loro giudizio al pettegolezzo del momento.
(di Susanna Cantelmo)