Nell’infinita vastità dell’acque del mare che si disperdono all’orizzonte, quanti sogni e disillusioni ci intravede un uomo?
Da quando l’uomo è venuto al mondo è da sempre rimasto folgorato dal fascino e dall’immensa beltà che desta nei suoi occhi la visione del mare.
Da sempre consideratosi il centro dell’universo e padrone di tutto, davanti a cotanta infinito si spoglia d’ogni corazza per mostrare le sue fragilità tutte.
Ed è solo davanti a quell’acque che l’uomo ha il coraggio di tornar al suo antico splendore, diafano come l’animo d’un fanciullo. Il male che impregna il suo io gli scivola lento di dosso e va a confondersi con la schiuma di mare, tosco singulto che gli riga il viso e va ad insozzare una cotal meraviglia.
Ed è proprio l’uomo fragile che offre i suoi occhi e se stesso a quel tutto vindice blu, quello in grado di immergersi negli abissi di quello sconfinato mistero.
Ma cosa vedono gli occhi d’un sognatore dinanzi alle acque di quel dolce mare? Cosa sente l’animo di questo atomo di solitudine, dinanzi al tutto?
Alcova che protegge dell’abominio del mondo, isfrenatissimo desiderio di fuga dalla stomachevole realtà, o semplicemente, ponte che consente all’uomo di arrivare a quello spegnimento dei sensi che porta il suo animo a navigare nei meandri delle piacevolissime illusioni.
Nella letteratura, come nell’arte tutta, il mare torna sempre a bagnare le sacre sponde di poeti e scrittori con le sue amate onde.
Mare come generatore di sogni, mare come sfida ai limiti umani, mare come temibile avversario, poiché in possesso di quell’infinita immensità che l’uomo brama e mai conquista.
Odisseo rappresenta il più grande dei navigatori che la letteratura ci abbia offerto fino ai nostri giorni. Emblema del coraggio e della sete di conoscenza, volle superare i limiti mortali, i limiti impostigli dalla sua condizione di uomo. Un uomo sempre spinto da due forza opposte e contrastanti, quali l’immenso desiderio di avventura e la grandissima e incontenibile nostalgia della patria.
A questo punto penso sia doveroso, per comprendere a pieno la suddetta considerazione, chiamare in causa uno degli scrittori che ci ha parlato del mito di Ulisse in una chiave differente da quella natia. Milan Kundera, nel suo libro “l’ingnoranza”, ci spiega che Odisseo fra “il ritorno[…] fra la dolce vita in terra straniera e il ritorno periglioso a casa, scelse il ritorno. All’esplorazione appassionata dell’ignoto preferì l’apoteosi del noto. All’infinito preferì la fine.”
Osservando il personaggio da questa prospettiva, sembra rappresenti il riflesso dell’uomo del nostro millennio, il quale dinanzi all’infinito, nonostante abbia sete di scoperta e tutto un mare da esplorare che lo attende, sceglie sempre e solo le sicure acque del finito, un posto in cui le sue solide radici della quotidianità non possano esser messe a repentaglio da cosa alcuna.
Un uomo che non sa più osare, che al bello preferisce il sicuro, che all’avventura preferisce la stabilità, che all’emozione vera e forte preferisce l’annullamento di qualsiasi passione per fuggire da una possibile delusione o da un qualsivoglia dolore. Un uomo che non sa più guardare il mare con sete di conoscenza ma solo con occhi di nostalgica indifferenza.
Anche nella poesia, il mare torna a essere protagonista indiscusso, e diviene anzi nemico dell’uomo, il quale non potrà mai raggiungere la sua immensità, finitissimo granello di niente qual è. Nella sua poesia, Lord Byron, spiega questo rapporto uomo/mare in modo quasi spregiudicato. L’uomo, da sempre, tenta di conquistare, conoscere e navigare il mare, ma invano, poiché questo sempre lo vince con la sua “cupa e azzurra immensità.”
Viene descritta dal poeta, infatti, l’infinita piccolezza dell’uomo, in confronto alla spregiudicata grandezza del mare. Il poeta, nella sua poesia, rivolgendosi al mare, gli dice che “I naufragi sono tutti opera tua, è l’uomo da te vinto, simile ad una goccia di pioggia ”
Nell’infinito leopardiano troviamo l’uomo naufrago nelle sicure acque di un mare di sogni, un mare ch’è immensità e prospettiva di infinito. Mare salvifico che ci trascina via dal nulla.
Un uomo che solo in qualcosa di sconfinato e mistifico come il mare, riesce ad approdare in “interminati spazi e sovrumani silenzi”.
Ma l’uomo del nostro millennio è ancora capace di concedersi al mondo del sogno e dell’immaginazione, come facevano gli antichi? È in grado l’uomo di abbandonarsi a deliqui senza fine, causati dalla beltà pure e semplice del mare?
Il suo occhio sembra però esser ormai un freddo e attento osservatore volto al nulla, che tutto osserva ma nulla ammira, che tutto vuole ma che nulla ama.
Questo mondo sembra esser divenuto un serraglio di ombre erranti, forse perché gli uomini sono stanchi e disperati di questa esistenza, avendo perduto l’antica meraviglia fanciullesca di saper guardare il mare ogni giorno scoprendolo nuovo.
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