Gaspar Noè e Lars Von Trier: tra provocazione e verità

Gaspar Noè e Lars Von Trier fanno rima con esagerazione: il loro cinema è il più discusso dell’ultimo millennio ed è in grado di scatenare fiumi di reazioni.

Quale che sia l’opinione in merito alle pellicole, non c’è da discutere sul fatto che siano geniali nel colpire lo spettatore generando rabbia, stupore, e spesso disgusto.

Non a caso si tratta dei maggiori esponenti di quello che potrebbe esser definito realismo traumatico, cioè di quella rappresentazione che tende a mostrare gli effetti della soppressione dell’istinto portando al limite la soggettività.

Un atteggiamento del genere, tuttavia, spesso genera film discutibili, in quanto venendo  trattate tematiche come droga, sodomia, violenza e stupro ci si potrebbe aspettare che la denuncia, seppur sottile, prima o poi emerga, ma non è così.

In particolare lo stupro viene più volte rappresentato, ad esso sono dedicate scene lunghe e dettagliate che non lasciano spazio all’immaginazione, tanto da tagliare fuori i due registi dalle più ambite competizioni cinematografiche.

Gaspar Noè ci fornisce un esempio che rimarrà per sempre nell’immaginario degli spettatori, con il film Irreversible (2002) in cui Alex (una splendida Monica Bellucci) viene stuprata dal campione di lotta Joe Prestia, detto la Tenia, per ben nove minuti di film, con la camera posta a terra, fissa sulla scena, come se lo spettatore stesso si trovasse lì, disteso insieme alla vittima impotente.

Una lezione quella di Noè che avrebbe senso se accostata al genio di Pasolini che con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) elimina, allo stesso modo, la distinzione tra cornice interna ed esterna, ponendo chi guarda la scena di fronte alla necessità di fornire un giudizio morale.

Dunque non si tratta di una denuncia, bensì di una domanda, la cui unica risposta si cela dentro chi guarda; rimane la visione oggettiva e fattuale del delitto con tutta la sua cruda realtà.

Come si comporta invece Lars Von Trier? Il regista danese è ben più complicato, soprattutto se si pensa alla sua dichiarata misoginia.

Nel vedere i suoi film si avverte questo senso di disprezzo verso il genere femminile, tutti i personaggi rappresentati tendono ad essere distrutti dalla sua logica artistica.

Di fatto più che di stupri, il regista dell’estremo è solito presentarci il sesso come qualcosa in cui c’è sempre una componente di consapevole accettazione dell’atto, come nel caso della Nicole Kidman di Dogville (2003), più volte stuprata, ma presentata fin dall’inizio come una donna disposta ad accettare il destino a cui va incontro seppur devastante, addirittura collaborando.

Lo stesso regista inoltre è stato accusato di stupro da parte della cantante Bjork che, finite le riprese di Dancer in the dark (2000) ha pubblicamente denunciato le molestie da lui subite aggiungendo “Lui ha bisogno di una donna per alimentare la sua anima creativa. E prova odio e invidia per loro. Quindi durante le riprese deve distruggerle, per poi nascondere l’evidenza”.

Prescindendo dalla veridicità dell’accusa, le parole della musicista islandese sono oltremodo rivelatrici riguardo all’ atteggiamento del genio Von Trier, che si serve spesso dell’arte per evidenziare le sue pericolose convinzioni.

 

 

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