Siamo nel 1901 a St Louis, Illinois, Stati Uniti. John Queeny, dipendente di una casa farmaceutica, sta fondando una piccola società partendo da un capitale di appena 5000 dollari. Il nome della società verrà preso dal nome da nubile della moglie, Olga Monsanto, e inizialmente si immetterà nel mercato con la produzione della saccarina, divenendone in breve tempo la maggior produttrice statunitense. Di lì a pochi anni la Coca-Cola Company sarebbe diventata uno dei suoi principali clienti.
Sfruttando le proprie conoscenze chimico farmaceutiche, il signor Queeny riesce a muoversi all’interno del mercato americano con grande abilità, assorbendo e fondendosi con altre società specializzate nella produzione di agenti e composti chimici, come lo stirene (un componente della gomma sintetica e base per il polistirene, alias polistirolo) e i policlorobifenili, detti PBC, di cui otterrà il brevetto.
I PBC sono sostanzialmente dei composti organici fondamentali nelle produzioni dell’industria elettrica e come additivi in vernici, pesticidi e altri prodotti simili, grazie alla loro stabilità chimica, che li rende non infiammabili, e grazie all’essere isolanti termici ed elettrici. Il problema di tali composti è però la loro alta tossicità e la loro persistenza nell’ambiente.
Ma la Monsanto prosegue la sua ascesa e supera brillantemente la grande crisi economica del ‘29.
Siamo negli anni trenta. La società ha immesso sul mercato un nuovo prodotto, un diserbante noto come 245T, tanto potente da intaccare l’ecosistema delle praterie americane, contribuendo alla nascita dei primi movimenti ambientalisti. La sua efficacia è tale che l’esercito americano ricorrerà durante la Guerra del Vietnam ad un mix ottenuto proprio tra il 245T e il 24D (della Dow Chemical) per creare il terribile Agente Orange e disboscare le foreste vietnamite, allo scopo di scovare i nemici vietcong (i quali nel frattempo avevano invece giustamente scelto di ricorrere a tunnel sotterranei per portare avanti la propria resistenza, ma questa è un’altra storia).
Le conseguenze di un tale abuso sono purtroppo note a tutti.
Nel frattempo, in linea con la nuova politica aziendale e considerando i diversi settori in cui poteva operare, la società cambiò nome in Monsanto Company (1964).
Proseguendo nelle ricerche, la Monsanto giunge a quella che può essere considerata tra le maggiori innovazioni in campo agricolo alimentare degli ultimi decenni: la scoperta del glifosato e il conseguente brevetto del Roundup.
Il glifosato è un diserbante sistemico, ossia un prodotto da spargere sulle foglie della pianta affinchè venga poi assorbito e distribuito per tutto il corpo della pianta stessa portandola alla morte. Questo meccanismo di azione lo rende estremamente efficace nella lotta contro le piante infestanti, riuscendo a devitalizzarle dall’interno e causandone dunque la morte in breve tempo.
Verrebbe a questo punto da chiedersi come si possa selezionare con accuratezza quali siano le piante da eliminare e quali da preservare, se utilizzato in ambienti non controllati, o come impedire che tale veleno penetri nel terreno o inquini le falde acquifere, così come ci si potrebbe chiedere come evitare che in tale processo venga coinvolta anche la fauna presente, ma queste sono questioni di cui per il momento si curavano in pochi.
Il glifosato è dunque il componente base del Roundup, il prodotto di punta della Monsanto, capace di far impennare il fatturato della società.
Siamo giunti negli anni novanta. La Monsanto è tra le maggiori multinazionali del settore agricolo alimentare ed è a questo punto che avrà un’idea che rivoluzionerà nuovamente il mercato mondiale.
Le biotecnologie si stanno sempre più sviluppando e la Monsanto, grazie anche all’acquisizione di società di biotecnologia come Calgene Inc. e DEKALB Genetics, ha tutte le carte in regola per portare avanti ricerche all’avanguardia che le consentano di imporsi ancor più sul mercato agricolo e alimentare. Inizia dunque la messa a punto di sementi. Ma non sementi qualsiasi. Sementi che siano in grado di resistere al glifosato e dunque al potente Roundup.
Così facendo potrebbe dunque ovviare al problema emerso dei danni apportati dal potente erbicida alla piante coltivate, immettendo nel mercato semi in grado di sopravvivere al suo utilizzo, e al contempo continuare la produzione e la messa in commercio del Roundup.
Inizia così la creazione di semi geneticamente modificati dei maggiori alimenti utilizzati in ambito alimentare e aziendale: mais, colza e soia. E il cotone.
Ma cosa vuol dire davvero tutto questo?
La Monsanto lavora sul codice genetico delle piante. Questo vuol dire che ha la capacità di creare specie geneticamente modificate appositamente per resistere a determinati fattori ambientali.
E’ il caso questo, per esempio, del bt Cotton.
La sua specificità consiste nell’essere stato appositamente creato per resistere all’attacco di una farfalla le cui larve si nutrono della pianta di cotone: all’interno dei semi del bt Cotton è stato inserito infatti un gene di un batterio in grado di sconfiggere, attraverso una tossina, tale lepidottero. Il risultato finale sarà così una piantagione di cotone all’interno del cui codice genetico è presente un gene che la renderà resistente agli attacchi della temuta e famelica larva.
Fin qui tutto bene. E’ a questo punto che sorgono dei problemi.
Il primo riguarda la scelta individuale di non voler vedere contaminati i propri prodotti o i propri alimenti con piante che hanno subito mutazioni geniche. La possibilità di scelta di non consumare alimenti aventi origini in laboratorio dovrebbe comunque essere garantita, così come i proprietari terrieri e i contadini dovrebbero poter salvaguardare le proprie semenze dall’impatto che tali coltivazioni hanno sull’ambiente condiviso, reso inoltre sempre più povero proprio dall’azione del bacillo.
E qui giungiamo al secondo problema.
Come si impedisce la contaminazione, il passaggio di sostanze o semi da un campo a un altro? Perché basta poco: agenti atmosferici, api, inquinamento o altri fattori e può avvenire che elementi “stranieri” giungano fino ai campi limitrofi e non. Come impedire che ciò accada? Ma soprattutto, una volta verificatasi questa eventualità, come ci si deve comportare?
Ebbene, la Monsanto detiene i diritti intellettuali, i brevetti, sui raccolti modificati, il che implica che, se un loro prodotto raggiunge il campo di un altro, questo deve pagarne i diritti.
Semplice. Ma andiamo avanti.
Le biotecnologie sono ormai giunte ad un tale livello di specializzazione da permettere la creazione di semi che siano sterili, incapaci cioè di generare altre piante al di fuori della stessa sviluppatasi dal seme originario e incapaci di rinascere a distanza di un anno, costringendo dunque i contadini ad acquistare nuovi semi dopo ogni raccolto. Sono questi i cosiddetti “terminator” (il nome ufficiale sarebbe “gene tecnologicamente protetto”).
Tali semi sono spesso forniti ai coltivatori senza che questi siano stati preventivamente informati, comportando dunque delle spese enormi e non valutate. Dall’altra parte invece, per la controparte significa principalmente guadagni maggiori e garantiti.
All’interno di questo meccanismo le conseguenze per i coltivatori sono spesso drammatiche. Le spese che si vedono costretti a fronteggiare, senza alcuno scampo, causano l’indebitamento dei piccoli e medi proprietari terrieri tanto che il tasso di suicidi nel settore agricolo, in special modo in quei paesi, come l’India o il Bangladesh, dove l’incidenza delle sperimentazioni è maggiore, sale vertiginosamente.
Ma perché usare gli Ogm?
La risposta più frequente è che tali coltivazioni sono fondamentali per la lotta contro povertà, fame e malattie, in special modo nei paesi in via di sviluppo.
Eppure i pareri in merito sono contrastanti. Se da una parte gli addetti ai lavori supportano tale idea, chi ne è al di fuori accusa le istituzioni competenti di favorire e finanziare quelle stesse aziende che dovrebbero valutare, affidandone le indagini a uomini membri di quelle stesse società. L’impatto ambientale sarebbe troppo gravoso e l’incidenza della malattie e il tasso di mortalità tanto alto da non lasciare dubbi sull’effetto che tale condotta abbia nei paesi in cui viene applicata.
Le conseguenze per chi lavora i campi e per chi si nutre di quelle stesse piante, o dei suoi derivati, e l’inserimento di tali prodotti all’interno dei prodotti alimentari vengono spesso taciute, così che l’opinione pubblica non sempre realizzi quanto realmente sia coinvolta nella questione.
Nel frattempo, parallelamente all’ambito agricolo alimentare, all’interno della Monsanto vennero portate avanti altre ricerche, applicabili al settore dell’allevamento intensivo.
Un’importante innovazione sarà per esempio nel 1994 l’introduzione del Posilac, ossia il BST (la somatotropina bovina), un ormone della crescita che, iniettato nelle mucche da latte, ne avrebbe aumentato la produzione. La controindicazione, rilevata solo attraverso studi successivi, era la presenza in doti elevate di un altro ormone, l’IGF-1, che secondo tali indagini favorirebbe l’insorgenza del cancro.
Ma i tempi cambiano e la Monsanto decide di rivalutare i propri interessi. Così, prima nel 1997, poi di nuovo nel 2000, attraverso una serie di scorporamenti, la multinazionale avrebbe scelto di dedicarsi esclusivamente all’agricoltura, separandosi dunque da quei settori dediti esclusivamente alla chimica tradizionale e mettendo da parte gli interessi farmaceutici, iniziati già nel 1917 con la produzione di aspirina, e portati avanti negli anni attraverso la fusione con importanti società come la Pharmacia & Upjohn.
Divenuta società quotata in borsa ha scelto di limitare i propri settori di competenza a quello agricolo alimentare e biotecnologico.
Il glifosato.
Ma torniamo a parlare del grande incriminato, il glifosato. La sua alta tossicità è stata ormai dimostrata e le conseguenze del suo utilizzo sono tristemente provate. Gli aborti e le malformazioni genetiche, oltre che gli effetti cancerogeni, provocate anche dall’esposizione anche a basse e medie dosi della sostanza, erano note alle aziende produttrici così come alle istituzioni, che ne hanno però taciuto gli effetti per lungo tempo.
Secondo la Earth Open Source, per citare uno dei molti esempi, gli esperti della Commissione Europea sarebbero stati informati delle conseguenze dell’esposizione al glifosato già nel 1998, ma, pur sapendolo, avrebbero permesso nel 2002 la commercializzazione del prodotto anche all’interno dei territori europei.
“Sembra che ci sia stata una deliberata volontà di coprire la verità da parte dell’industria chimica e di chi doveva controllare” afferma Claire Robinson, portavoce di Earth Open Source “Tutto ciò sulla pelle della sicurezza pubblica. Perché il Roundup non viene utilizzato solo in agricoltura, ma anche nel giardinaggio, nei parchi e nelle aree verdi delle scuole, grazie alla falsa informazione che sia sicuro”.
Oggi, le cose sono cambiate di poco, anche se in Europa sono stati fissati dei paletti per impedire l’eccessiva circolazione di tali sostanze.
L’obiettivo ultimo della Monsanto sarebbe quello di aggiudicarsi il controllo totale delle riserve di semi del mondo, occultando allo stesso tempo i dati relativi ai danni causati dagli Ogm (Organismi geneticamente modificati) alla salute umana e animale e all’intero ecosistema.
Ottenere il monopolio in un settore tanto delicato quanto fondamentale, sarebbe in verità pericoloso a prescindere dalle politiche messe in atto.
Nel 2016 destò notevole scalpore l’annuncio della proposta di acquisto da parte della Bayer AG, società chimica e farmaceutica tedesca, per la cifra iniziale, poi rilanciata, di 66 miliardi di dollari.
Nel 2017 l’antitrust europea avrebbe bloccato l’accordo in quanto la fusione tra due aziende leader nel settore provocherebbe una scossa inaccettabile nel mercato, sbaragliando la concorrenza e dando origine di fatto ad un monopolio.
Non bisogna dimenticare che il settore agricolo è attualmente in mano a poche mega-società: ChemChina-Syngenta, DuPont-Dow e Bayer e Monsanto. La fusione di queste ultime aggraverebbe dunque una situazione già di per sè compromessa, mettendo in condizione queste multinazionali di possedere e vendere circa il 64% dei pesticidi e il 60% dei semi brevettati, distruggendo di fatto tutte quelle realtà minori e locali che agiscono con politiche agricole alternative.
Tra le paure nei confronti di un simile evento è che si “possa ridurre la concorrenza in una serie di diversi mercati che porterebbero a prezzi più alti, qualità inferiore, meno scelta e meno innovazione”.
La decisione finale verrà dovrà essere presa entro l’8 gennaio 2018.
Al momento l’Europa avrebbe bloccato qualsiasi tipo di transazione, attraverso una decisione senza precedenti: dopo l’ennesimo rifiuto da parte della Monsanto di prendere parte ad una audizione sul glifosato, la multinazionale è stata per il momento bandita dalla Comunità Europea, al cui interno, la circolazione di prodotti contenenti tale sostanza è vincolata a permessi di vendita precisi e di cui si sta attualmente valutando il rinnovo all’autorizzazione di messa in commercio all’interno della Comunità.
Da parte della Bayer la posizione appare il più conciliante possibile e attraverso una nota, ha comunicato che
“Bayer crede che la combinazione proposta sarà altamente vantaggiosa per gli agricoltori e per i consumatori, e continuerà a lavorare in modo costruttivo e ravvicinato con la Commissione europea nella sua indagine”, nella prospettiva di “ottenere l’approvazione della Commissione per la transazione entro la fine di quest’anno. (…) L’azienda si aspettava un’ulteriore revisione della proposta di acquisizione della Monsanto a causa delle dimensioni e dell’ambito della transazione”
Quando si affrontano tematiche tanto delicate, non è mai facile esprimersi. Ciò che appare evidente è come gli interessi economici prevalgano inevitabilmente sugli interessi per il bene comune.
L’ecosistema sta cercando in tutti i modo di sopravvivere ai continui attacchi da parte dell’uomo. Non ha difese se non continuare ad agire secondo il suo meccanismo orchestrato in modo impeccabile. Da parte nostra non sono molte le cose che possiamo fare. Siamo noi stessi indifesi davanti a forze tanto grandi, in balia di decisioni prese da individui che non vediamo e che, nel breve e fugace lasso di tempo in cui occupano posizioni di rilievo, cambiano il destino del pianeta.
Ciò che possiamo fare è acquisire la consapevolezza necessaria a pendere coscienza di uno stato di cose che va cambiato. Per farlo dobbiamo sapere.
Solo allora, potremo forse iniziare a far sentire la nostra voce e mettere in moto dei cambiamenti che possano col tempo mutare il corso degli eventi.