Sam Smith canta a cuore aperto in “The Thrill of It All”

Quando un artista ottiene enorme successo già al proprio debutto spesso, subito si parla di ciò che verrà dopo, del difficult second album, perché è facile sentirsi bloccati dalla pressione eccessiva di pubblico e stampa e deludere le aspettative. Non sembra essere questo il caso di Sam Smith, tornato tre anni e mezzo dopo l’acclamatissimo In The Lonely Hour con The Thrill of It All, un album che si distanzia dal precedente mantenendo però alcuni punti fissi, la centralità della voce in primis.

In un’intervista Sam ha dichiarato che l’album è nato con l’intento di essere personale e simile ad un diario, non un grande successo pop, ed è infatti questa la prima impressione che si ha ascoltandolo. Confrontandolo con quello precedente The Thrill of It All appare più profondo e intimo, una confessione fatta a cuore aperto e non nascosta tra ritornelli accattivanti e ritmi decisi. Se l’album di debutto era paragonabile ad una raccolta di lettere tutte inviate al destinatario, questo racchiude le lettere rimaste in fondo al cassetto e mai spedite, tanto che ascoltarlo sembra un’intrusione nella vita privata altrui.

La traccia d’apertura, Too Good At Goodbyes, introduce due aspetti ricorrenti all’interno dell’album: da una parte la presenza massiccia di sonorità e cori gospel e dall’altra le difficoltà nelle relazioni amorose, date anche dall’esito di quelle precedenti. Quest’ultimo tema è ripreso già nel brano successivo, Say It First, che è un invito alla persona amata affinché dichiari i suoi sentimenti per timore che non corrispondano ai propri: ‘cause I’m never gonna heal my past if I run every time it starts, so I need to know if I’m in this alone.

L’influenza delle relazioni passate su quelle odierne è centrale, però, soprattutto in Nothing Left For You in cui il protagonista si dichiara incapace di amare di nuovo in quanto ancora legato ad un altro. Anche qui come nella traccia d’apertura un coro ripete alcuni versi particolarmente significativi dando loro maggiore drammaticità come se fossero una verità assoluta. Questo espediente ricorre più volte nell’album che spesso assume un tono di sacralità e si trasforma quasi in preghiera.

Pray tratta del rapporto del cantante inglese con la religione ed è stata scritta dopo un viaggio in Iraq che l’ha spinto ad interessarsi di più all’attualità. Nonostante sia sempre rimasto lontano dalla fede, anche per via delle opinioni cattoliche sull’omosessualità, vedendo la situazione del mondo in cui viviamo ha avvertito la necessità di provare a pregare per un futuro migliore, del resto everyone prays in the end.

Il rapporto tra orientamento sessuale e religione è alla base di una delle tracce più sentite dell’album, HIM, in cui un ragazzo fa coming out con il proprio padre, quello terreno e quello divino. Lo stile del brano crea un’atmosfera di timore reverenziale proprio di una preghiera (si sta pur sempre parlando con Dio), ma allo stesso tempo lo carica della potenza che solo una confessione covata per anni può avere. Una volta giunti all’accettazione totale di sé si è in grado di affrontare la verità apertamente con tutte le proprie conseguenze, tanto da affermare con sicurezza: don’t you try and tell me that God doesn’t care for us. Impossibile non fare un paragone con Heaven di Troye Sivan poiché questa canzone ne sembra il continuo:

All my time is wasted
Feeling like my heart’s mistaken, oh
So if I’m losing a piece of me
Maybe I don’t want Heaven?

(Heaven Troye Sivan)

Holy Father, judge my sins
I’m not afraid of what they will bring
I’m not the boy that you thought you wanted
I love him

(Him Sam Smith)

Una canzone molto personale è Burning che parla delle conseguenze negative che ha avuto sull’artista la fine di una relazione. Troppo preso dall’altra persona si è poi ritrovato da solo a dover ricostruire la propria vita e i rapporti con familiari e amici che si erano allentati. Nonostante gli errori commessi gli abbiano fatto sperare di poter nascere di nuovo per evitarli, Sam si dichiara disposto a perdonare la persona amata e ricominciare da capo.

Nell’album troviamo questa volta anche un duetto con YEBBA (artista ancora senza contratto discografico), No Peace, traccia che è probabilmente destinata a diventare un singolo dato che è tra quelle che più colpiscono a primo impatto ed è sicuramente una collaborazione ben riuscita.

Della difficoltà di dimenticare qualcuno tratta anche One Last Song che è rivolta alla stessa persona che ha ispirato l’album precedente. Parlandone alla BBC Radio 1 Sam Smith ha infatti detto: “Continuavo a scrivere canzoni sull’uomo di cui parlavo nel primo album, continuava a tornarmi in mente ogni tanto ed ero stufo di scrivere su di lui. Mi sono detto: questa è l’ultima canzone per lui.” Baby, You Make Me Crazy è invece incentrata su un modo decisamente poco drammatico di affrontare la fine di una relazione ovvero uscire a divertirsi con le persone care e rimandare la tristezza e le preoccupazioni al giorno dopo. In fin dei conti è anche un po’ inutile soffrire per chi non ti vuole, no? Infatti queste sono le uniche due canzoni veramente upbeat dell’intero album.

Un altro brano molto emotivo è Midnight Train (che a qualcuno ricorda Creep dei Radiohead) che parla della difficile decisione di porre volontariamente fine ad una relazione prima che inizi a rovinarsi. Potremmo opporre a questa la traccia che dà il nome all’album in cui invece si parla delle relazioni rovinate in modo inconsapevole e di cui si sente la mancanza.

Decisamente degna di nota per la particolarità della tematica affrontata è Scars in cui Sam ringrazia i genitori per il modo in cui hanno gestito il proprio divorzio e sono stati in grado di ricostruirsi una vita fornendo un grande esempio di amore e coraggio ai figli.

L’album si chiude con One Day At A Time, un invito a focalizzarsi sul presente e a prendere le cose un po’ come vengono senza farsi spaventare e frenare troppo dal proprio passato. Questo tema si collega con quanto espresso in Palace: non tutte le relazioni hanno il lieto fine, ma ciò non significa che non valga la pena provarci perché real love is never a waste of time.

Impossibile non fare, almeno in conclusione, un paragone con Adele date le doti vocali e lo stile di entrambi: come 25 anche The Thrill of It All è un album molto solido e coerente per sonorità e temi, anche se quest’ultimo è decisamente più struggente di quello della cantautrice. Qualcuno potrebbe lamentare l’assenza di hit vere e proprie, ma ci sentiamo di dire che rispetto al precedente questo lavoro appare molto più maturo e consapevole, spogliato delle ombre di tutti quei lui che sembravano affollare l’album di debutto: arriva forte e chiara solo la voce (e l’anima) di Sam Smith.


Crediti immagini: 1, 2

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