Marco Ponti è professore ordinario di economia applicata al Politecnico di Milano, ha lavorato per tredici anni nel settore dei trasporti ed è stato anche consulente per la Banca Mondiale. Imprenditore, giornalista, consigliere di amministrazione, è inoltre responsabile di un gruppo di ricerca internazionale sulla regolazione economica dei trasporti ed infine collabora con la Commissione Europea.
Il professor Ponti, il 9 Ottobre, ha tenuto una conferenza presso l’ Università Statale di Milano riguardante il Benessere Socioeconomico. Un tema assai delicato per via del legame che esiste tra il benessere economico e la libertà di un popolo.
Infatti, se la distribuzione delle ricchezze di un Paese è squilibrata, ovvero il Paese è povero, il pensiero e l’obiettivo necessario da perseguire per i suoi abitanti sarà esclusivamente quello di mangiare, perciò la sua popolazione non avrà modo e tempo di informarsi, confrontarsi e fare particolari scelte. Inoltre un Paese in crisi è molto più propenso a entrare in guerra, la quale ovviamente comporta il rischio della disfatta, ma può anche essere una speranza di migliorare la propria condizione; se invece un Paese è ricco, difficilmente inizierà una guerra che potrebbe peggiorare la sua situazione.
Il benessere socioeconomico è l’insieme di tre elementi interconnessi: ricchezza, distribuzione della ricchezza e libertà economico-politica. Se manca un’equa distribuzione delle risorse, significa che la ricchezza è in mano ad una minoranza e la libertà del popolo ne risente. Chi detiene tanto potere può influire sui media e sulla politica e quindi sull’opinione pubblica, condizionandone la libertà. Se la libertà è limitata, di solito non c’è neanche un’accettabile distribuzione della ricchezza perché i dittatori tendono ad accaparrarsene la maggior parte.
Questi 3 fattori sono nati insieme nel tempo e nel luogo e ciò non può essere un fatto casuale, sono elementi che si alimentano tra loro. Tutto ha inizio con la prima ondata di benessere, che ha origine in Scozia nel 1750, con la Rivoluzione Industriale: lì nasce il concetto di libertà economica, nasce la tutela della proprietà privata, si ha una maggiore mobilità sociale nonchè un boom demografico.
La 2°ondata di benessere, da cinquant’anni a questa parte, è un fenomeno che prende il nome di Globalizzazione. La tecnologia, la riduzione del costo dei trasporti e l’apertura dei mercati, hanno fatto esplodere le economie più povere (come ad esempio quelle di Cina e India). Alla crescita demografica si aggiunge una maggior lunghezza della durata media della vita. Altri fattori importanti che seguono la globalizzazione sono l’incremento dell’educazione femminile, e che la democrazia, in origine un’eccezione, oggi sia il sistema politico presente in maggioranza.
Il Capitalismo della Rivoluzione Industriale prima, e il Super Capitalismo della Globalizzazione dopo, non sono però un paradiso per tutti. Churchill disse: “La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutti gli altri”, come a dire che la democrazia ha degli aspetti orribili, ma gli altri sistemi sono peggio. Questo potrebbe valere anche per i sistemi economici: altri modelli, magari dalle premesse più nobili rispetto al Capitalismo, come il Socialismo, poi nel concreto si sono rivelati fallimentari.
Oggi a livello mondiale le disuguaglianze sono calate in modo strepitoso, infatti la differenza di reddito tra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati è diminuita (comportando anche dei problemi per i paesi più sviluppati). Tuttavia, all’interno dei singoli paesi, le differenze di reddito sono aumentate.
Il Capitalismo, per sua natura, genera diseguaglianze. I capitalisti tendono ad accumulare ricchezze e pagare poco gli operai, è un sistema basato sull’egoismo e sull’avidità, ma ha la grande virtù di aver bisogno del consumo dei lavoratori. Se nessuno comprasse, infatti, gli imprenditori non guadagnerebbero più. Il capitalismo ha quindi bisogno di un certo grado di distribuzione della ricchezza. E’ indubbio che la rivoluzione industriale abbia danneggiato le classi operaie soprattutto le classi con meno capacità specifiche. Sostanzialmente, in termini assoluti, i Paesi del mondo sono un po’ meno ricchi, tuttavia ¾ di mondo che prima non mangiava, ora mangia.
Quindi? Nessuna conclusione ma molti spunti di riflessione. Presupponendo l’importanza del benessere socioeconomico, il capitalismo è una buon modello? Meglio studiarne uno differente per il futuro? Tra luci e ombre se il sistema capitalistico sia un bene o un male dipende dall’ideologia di ognuno.
Conferenza del professor M. Ponti all’Università Statale di Milano (9 ottobre 2017)