La parola miniatura si riferisce sia al capolettera sia ai disegni decorativi presenti nei testi medievali, passando poi ad identificare l’arte di abbellire e corredare gli stessi. L’etimologia della parola miniatura riconduce ad uno dei temi di maggior fascino: la creazione dei colori. La nostra abitudine ai colori sintetici, infatti, ci allontana da quella che era all’epoca, e nel corso di molto secoli, una vera e propria arte. “Miniatura” deriva probabilmente dalla parola latina minium, il minerale arancio-rossastro conosciuto anche come ossido di piombo. Era proprio dal minio, infatti, che i miniatori ricavavano la polvere rossa utilizzata per dipingere sulla pergamena. Sono giunti a noi veri e propri ricettari del passato che forniscono indicazioni per la creazione non solo dei colori, ma anche di sostanze in grado di renderli più lucidi e resistenti. Tra i ricettari le Compositiones ad tingenda sono sicuramente quelle che meglio illustrano le diverse tecniche di composizione del colore soprattutto nel De coloribus, quaranta ricette sulla preparazione delle tinte, in particolare il rosso e l’azzurro, ricavati da estratti vegetali e animali, e nel Conchylium, sezione in cui si affronta la tecnica di produzione della porpora e degli inchiostri dorati e argentati.
Se si escludono i papiri egizi corredati da immagini, fino al IV secolo d. C. non si hanno tracce di libri miniati. Nel medioevo ad occuparsi delle opere miniate furono quasi sempre i religiosi: venivano chiamati amanuensi quei monaci che, lavorando negli scriptoria all’interno dei monasteri, ricopiavano le opere più importanti del passato. Questo avveniva non solo in Italia nei monasteri o in Francia alla corte di Carlo Magno dove, grazie alla diffusione della cultura, il libro aveva ottenuto un’importanza speciale. L’arte della miniatura era diventata una pratica frequente anche nel nord Europa: è il caso del Libro di Kells, manoscritto miniato, composto dai monaci irlandesi, che contiene le traduzioni dei Vangeli in gaelico.
Tuttavia questo compito non fu solo appannaggio dei monaci. Tra XIV e XV secolo in Italia e nelle Fiandre si dedicarono alle miniature anche alcuni celebri pittori. Il noto artista toscano Beato Angelico si occupò, ad esempio, della realizzazione dei capilettera nel Messale di San Domenico, o codice 558 del Museo di San Marco: dalla Vergine Maria racchiusa nella “S” iniziale, decorata da foglie e formata da due pesci colorati, all’Annunciazione, a San Domenico.
Il francese Jean Fouquet, reso celebre dal Dittico di Melun, si occupò delle miniature all’interno dei libri d’Ore, libri di preghiere. Tra i più celebri quello di Etienne Chavalier, in cui le miniature ritraggono scene di carattere religioso come l’adorazione dei Magi e l’Annunciazione, dove prevalgono i toni accesi del rosso, del blu e naturalmente dell’oro.
Come si può immaginare, l’affermarsi della stampa segna il declino delle miniature: il libro diviene un oggetto più facilmente accessibile per le ampie tirature e per costi molto più democratici. Il disegno a mano, invece, è riservato alle opere uniche ed economicamente dispendiose. Nei testi a stampa restano le immagini a corredo del testo e i capilettera anche se di dimensioni ridotte: questa volta però nel ruolo di protagonisti non vedremo più i miniatori, bensì gli incisori.
Ma questa è un’altra storia…
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