“Non possiamo che parlare con i nostri dipinti.”
Così scriveva Vincent van Gogh (1853-1890) al fratello Theo in una delle sue ultime lettere, datata 23 luglio 1890 e ritrovata sul corpo di Vincent il 29 luglio, giorno della sua morte.
La citazione riassume bene tutto il suo pensiero artistico e umano, ed è stata scelta da Dorota Kobiela e Hugh Welchman come una delle frasi cardine per il loro capolavoro Loving Vincent, il primo lungometraggio della storia creato interamente con dipinti ad olio su tela.
Di produzione britannico-polacca, il film è stato scritto e diretto da Kobiela con l’aiuto del marito Welchman.
Dopo oltre sei anni di lavoro, Loving Vincent è stato rilasciato in alcuni Paesi europei nel corso di quest’anno, e il 16, 17 e 18 ottobre scorsi è stato finalmente proiettato anche nelle sale italiane.
Dorota Kobiela è un’artista e regista polacca, laureata all’Accademia di Belle Arti di Varsavia e specializzatasi alla Warsaw Film School. È stata insignita di prestigiosi titoli, come il premio di “Minister of Culture scholarship” per i risultati conseguiti nel campo della pittura e della grafica, vinto per quattro anni consecutivi. Loving Vincent è il suo sesto film d’animazione, che segue The Letter (2004), Love me (2004), Mr. Bear (2005), Chopin’s Drawings (2011) e Little Postman (2011).
Sei anni fa, la regista aveva iniziato a dipingere l’intero film da sola, con l’intenzione di creare un’opera che andasse ad unire le sue grandi passioni: la pittura e il cinema. Man mano che il progetto si espandeva e diventava più imponente, Kobiela capì che le sarebbe stato impossibile dipingere, scrivere e dirigere tutto da sola: avrebbe impiegato 80 anni per finire. Ha quindi scelto numerosi collaboratori e più di cento pittori, per poter portare a termine il lavoro.
Ambientato nel 1891, un anno dopo la scomparsa di Vincent van Gogh, il film si propone di indagare le circostanze della sua morte, andando quindi a riportare alla luce una delle grandi domande della storia dell’arte: in quel campo di grano Vincent si è sparato o è stato qualcun altro a sparargli?
Lo spettatore viene guidato da Armand Roulin (Douglas Booth), attraverso un viaggio tra Parigi e Auvers-sur-Oise, ad intervistare diversi personaggi realmente esistiti che sono stati vicini all’artista durante i suoi ultimi anni.
Il pretesto che fa scattare la narrazione è il ritrovamento della lettera di Vincent datata 23 luglio 1890 da parte del postino di Arles Joseph Roulin (Chris O’Dowd), padre di Armand. Joseph decide di consegnarla al legittimo destinatario e incarica il figlio di raggiungere Parigi, dove potrà trovare Theo.
Una volta arrivato però, Armand scopre che Theo è scomparso pochi mesi dopo Vincent. Nonostante questo, Armand è sempre più interessato alle cause della morte dell’artista e decide di continuare le sue indagini.
Si sposta da Parigi alla piccola cittadina di Auvers-sur-Oise, dove Vincent si è spento l’anno prima. Qui conosce il dottor Paul Gachet (Jerome Flynn), medico dell’artista, la proprietaria dell’albergo in cui il pittore aveva alloggiato negli ultimi tempi e dove si era spento, e altri personaggi, che erano stati più o meno vicini a van Gogh.
La trama di per sé non è quindi niente di nuovo per chiunque abbia un minimo di confidenza con la figura dell’artista olandese. Ciò che è interessante è vedere come i 52.400 frames dipinti si succedono l’un l’altro, riproducendo e modificando 94 quadri di van Gogh e citandone parzialmente altri 31.
Ogni dipinto è stato realizzato dall’équipe di artisti con colori ad olio su tela, imitando la tecnica e lo stile di van Gogh.
Per creare il film, che ha richiesto un budget di 5.000.000 di euro, per prima cosa sono state riprese le scene con gli attori di fronte al green screen. Dopodiché le riprese sono state montate e poi divise in diverse parti, ognuna delle quali è stata assegnata ad uno degli artisti che da quel momento ha potuto iniziare il lavoro.
Per creare queste numerosissime stop motion, ogni artista ha dipinto un primo quadro, corrispondente al primo frame della porzione di film assegnatagli. Dopo averlo fotografato, ha dipinto su questa stessa tela le modifiche che occorrono per dare vita al movimento e portare avanti la narrazione. Dunque per ogni frame non è stato creato un nuovo quadro, ma si parte dal primo, che viene modificato numerose volte fino ad arrivare alla conclusione della scena.
Per imbarcarsi in un lavoro del genere bisogna avere una grande passione per l’arte e bisogna credere fermamente nel risultato che si otterrà anni dopo. È un lavoro lento e impegnativo, che soltanto un team di artisti e creativi poteva portare a compimento.
Sembra giusto, quasi sensato, che il soggetto di un’impresa del genere sia Vincent van Gogh, un artista che da quando ha trovato la propria vocazione non ha mai smesso di dipingere, lavorare, produrre, trascurando se stesso per la propria arte.
Loving Vincent è l’omaggio sincero di un team di creativi ad una delle figure più grandi e celebri del passato.
Il film è stato proiettato per soli tre giorni in 283 sale italiane, registrando oltre 1.000.000 euro di incassi, aggiudicandosi il titolo di film più visto di sempre in Italia.
Per chi non ha avuto la possibilità di recarsi al cinema lo scorso ottobre, è stata programmata un’imperdibile replica il 20 novembre.
[ trailer film: https://www.youtube.com/watch?v=QglLwpQZG-o
[1] Lettera da Vincent van Gogh a Theo van Gogh, Auvers-sur-Oise, 23 luglio 1890.