Il seno femminile è da secoli al centro di un contendere.
Mentre da una parte prevale l’idea del seno come parte del corpo femminile che, pur nella sua sensualità e complice nell’accentuare la femminilità del corpo di una donna, costituisce una parte del corpo come altre, utile per l’allattamento, quando necessario, e privo di allusività, dall’altra domina la visione del seno come un elemento del corpo carico di un valore erotico tanto alto, da ritenerne disdicevole l’esibizione, se non a fini sensuali.
Data la presa di posizione dei vari social network, che ne hanno censurato l’esibizione, potremmo affermare che quest’ultima sia la posizione dominante. Nel rispetto delle idee e della sensibilità di persone che ritengono offensiva la vista di un seno femminile infatti, social come Facebook e Instagram hanno stabilito regole ben precise.
Così si legge:
“Rimuoviamo anche le immagini di seni femminili dove è visibile il capezzolo”
Si evince dunque che il capezzolo maschile è invece consentito.
Ma dove sta la differenza?
Fingere che il seno femminile non abbia in sé un valore di seduzione sarebbe ingenuo. La questione ruota però attorno alla scelta ragionata di bandirne l’esibizione.
Che il capezzolo femminile venga legato esclusivamente ad una concezione arcaica, che lo vuole, maschilisticamente parlando, come una zona erogena atta a titillare la libido maschile, è molto preoccupante, in special modo quando a farlo sono quelle stesse istituzioni che, insieme a quei luoghi auspicabilmente neutrali come le piattaforme digitali, dovrebbero invece operare in direzione della parità e della liberazione del corpo femminile da retaggi misogini.
Il dubbio che sorge è che forse non sia nota a tutti la funzione primaria del capezzolo.
Ebbene, nelle donne il capezzolo (diminutivo del latino capĭtium «estremità») altro non è che il punto in cui confluiscono i dotti galattofori, che hanno la funzione di trasportare verso l’esterno il latte prodotto dalla ghiandola mammaria durante la fase di allattamento.
Può poi essere una zona erogena, così come molte altre parti del corpo, ma questa proprietà varia da persona a persona.
Perché dunque tale accanimento verso un organo di per sé innocuo?
La motivazione va ricercata nel retaggio culturale che da secoli attribuisce al corpo femminile l’idea che questo sia uno strumento di seduzione, in ogni sua parte. La cultura impostasi durante la storia dell’uomo è di stampo patriarcale e le donne hanno in essa da sempre rivestito un ruolo marginale. Considerate spesso al pari di oggetti di proprietà del padre famiglia, dei fratelli maschi o del marito, quando non addirittura dei figli maschi, le donne hanno dovuto subire le volontà e le influenze dell’uomo.
Risulta evidente dunque come il desiderio maschile abbia influenzato il pensiero comune, rendendo il corpo femminile uno strumento atto alla seduzione del maschio, fonte di piacere anche solo attraverso la sua visione.
La mortificazione del corpo femminile risente ancora oggi di tali concezioni, tanto che sopravvivono in alcune parti del mondo forme di costrizione e mutilazione che riguardano il seno. Parliamo per esempio del cosiddetto stiramento del seno. Tale pratica ha origine in Camerun ma viene praticata anche in altre zone dell’Africa occidentale.
Lo stiramento nel seno consiste nell’apporre sul petto delle giovani ai primi accenni di crescita, dei pestelli di legno o martelli, vecchi ferri da stiro o pietre roventi, che dovrebbero “sciogliere” la massa che starebbe sviluppandosi al di sotto della pelle. Il petto viene poi talvolta stretto in delle fasciature che impedirebbero al seno di crescere e favorirebbero la guarigione. La procedura viene ripetuta più e più volte, fino alla scomparsa del seno.
È una pratica molto dolorosa, oltre che inutile e pericolosa, operata dalle donne alle proprie figlie per proteggerle, nel timore che, una volta constatato che le giovani sono ormai divenute “donne” gli uomini si sentano attratti dalla vista del seno e decidano di “sedurle”.
Allo scopo di proteggere le ragazze da stupri, gravidanze e matrimoni forzati dunque, vengono sottoposte ad una forma di tortura.
Paragonare il nascondere la femminilità attraverso una procedura disumana al vietare l’esibizione di un seno nudo attraverso l’oscuramento del profilo social di chi ha commesso il grave errore di caricarne una foto, é ovviamente una esagerazione, eppure alla base soggiace la stessa idea: il seno femminile stimola l’uomo, quindi bisogna celarlo, a meno di non volerne pagare le conseguenze.
Un pensiero ancora una volta omocentrico.
Ma torniamo ai paletti imposti dai social network. Ottobre è il mese dedicato a sensibilizzare e promuovere la prevenzione del cancro al seno.
Ora più che mai fa dunque riflettere come il rigido sistema di oscuramento di qualsivoglia parte del corpo che possa risultare offensiva per la morale, faccia cadere nella rete anche quegli episodi che invece nascono con un valore educativo.
È il caso per esempio dei video tutorial per l’autopalpazione del seno, una pratica molto utile per la prevenzione del cancro al seno, cui sarebbe bene che tutte le donne si dedicassero. Per aggirare tale veto, l’associazione argentina MACMA ha girato nel corso degli anni diversi video che, con ironia, mostrano alle donne come eseguire tale controllo
L’associazione lotta da anni per sensibilizzare sempre più donne su una questione tanto delicata e stupisce che tale iniziativa non rientri nelle possibili eccezioni contemplate dai social. La lotta contro il cancro è già troppo dura perchè si debbano anche sprecare energie combattendo contro regole rigide e in molti casi insensate. Per questo motivo, le originali idee messe in atto dalla MACMA non possono che suscitare ammirazione e plauso per riuscire a vincere la fredda e arcaica logica dei social.
Sempre nelle regole comportamentali sopracitate, si legge
“Permettiamo sempre la pubblicazione di foto di donne che allattano o che mostrano il seno con cicatrici causate da una mastectomia”
Perchè questo sono per loro le donne: oggetti sessuali, madri o vittime. E’ tempo ormai che la prospettiva cambi.