Omicidio Pasolini, un mistero all’italiana

L’uomo che sapeva troppo. Si potrebbe prendere in prestito il titolo del film di Hitchock per uno dei più misteriosi casi italiani: l’omicidio Pasolini.

Pier Paolo Pasolini fu ucciso molto probabilmente per delle verità scomode che stava per dimostrare in un libro. Comunque, dopo quarantadue anni, il caso rimane irrisolto nonostante vi sia stato subito un reo confesso, tale Giuseppe Pelosi detto Pino.

Giuseppe Pelosi

All’una e trenta del 2/11/1975 i carabinieri fermano un’Alfa contromano ad alta velocità. Alla guida vi è il diciassettenne Pelosi un “ragazzo di strada“. Ha un taglio alla testa che dice di essersi procurato sbattendo contro il volante per la frenata. Inizialmente Pelosi afferma di aver rubato l’auto presso il cinema Argo.  A un compagno del carcere minorile invece Pelosi confida di aver ucciso il proprietario dell’auto. Quest’ultimo si scopre essere Pier Paolo Pasolini il cui cadavere verrà ritrovato poche ore dopo.

Il corpo dell’artista viene scoperto nei pressi della foce del Tevere. E’ circondato da pezzi di legno insanguinati e vi sono segni di pneumatici. Accanto viene rinvenuto un anello di Pelosi. L’accusa nei suoi confronti cambia e il ragazzo fornisce un’altra versione.  Secondo la sua confessione la morte di Pasolini sarebbe stato il tragico epilogo di una lite tra omosessuali. Pino infatti racconta di essere stato abbordato da Pasolini in zona Termini e di essersi poi appartati nella zona del Lido Duillio di Ostia. Qui Pelosi aggredisce Pasolini per difendersi da un tentato abuso. Quindi prende l’auto per fuggire ma, non accorgendosi di Pasolini a terra, lo travolge.

Il 10 febbraio 1976 Pelosi viene rinviato a giudizio per omicidio volontario, furto e atti osceni in luoghi pubblici. Viene condannato a nove anni e sette mesi. La Corte lo ritiene colpevole di “omicidio in concorso con ignoti“. Un anno dopo però la Corte d’Appello ritenne improbabile la presenza di complici. La sentenza verrà confermata in via definitiva il 26 aprile 1979.

Tuttavia vi sono delle incongruenze. Innanzitutto pare improbabile che Pelosi possa aver sopraffatto Pasolini. L’intellettuale era infatti uno sportivo, praticava arti marziali e inoltre, grazie ai contestatori più violenti, era abituato allo scontro fisico.  Pelosi invece era un ragazzino gracile, talmente esile da essere soprannominato “la rana”. Altra incongruenza è data dal fatto che un massacro comporta sangue, tanto sangue addosso all’aggressore. Pelosi invece ha solo una macchia sul polsino e una sulla scarpa sinistra.

Pelosi e gli inquirenti sul luogo del delitto

Ma nel 2005 lo stesso Pelosi ritratta in un’intervista prima e ai magistrati poi. Fornisce così una versione meglio coincidente con la dinamica, le testimonianze e l’analisi del medico legale. Andarono sì ad Ostia ma Pasolini non gli fece niente. Arrivò un’altra macchina dalla quale scesero quattro persone. Una aggredì Pino mentre le altre massacrarono Pasolini con bastoni e catene. Infine gli passarono sopra con la macchina.

Pelosi sostiene di essere stato zitto perché minacciarono lui e i suoi genitori e di aver rotto il silenzio dal momento che i responsabili erano morti o troppo vecchi. Si riferisce forse ai fratelli Borsellino, due sue amici neofascisti, che si erano in effetti vantati del delitto nei mesi successivi? O forse a Johnny Lo Zingaro, il criminale Giuseppe Mastini altro suo amico il quale venne accusato dagli stessi Borsellino?

E’ chiaro che Pelosi fu un’esca, ma “usato” da chi e perché? Certo è  che Pasolini era un intellettuale tra i più discussi. Un personaggio scomodo che  in qualità di poeta, scrittore, regista e cantautore ha raccontato la realtà, tra scandalo e spirito critico.

Era un’omosessuale e non lo nascondeva, in un’epoca in cui non si poteva neanche usare il termine. Pasolini era inoltre legato al partito comunista, anche se non mancava di criticarlo. E quelli erano  anni di omicidi legati all’appartenenza politica. L’omicidio di Pasolini può quindi più che di una lite tra omosessuali, essere stato il tragico epilogo di una spedizione punitiva di estremisti di destra.

Enrico Mattei

Vi è un’ipotesi ben più plausibile. Quando morì, Pasolini stava scrivendo Petrolio. Il libro, uscito postumo nel 1992, racconta l’Italia contemporanea. La parte più scomoda è quella dedicata all’omicidio di Enrico Mattei, il quale sarebbe stato vittima di un attentato (come verrà riconosciuto nel 2012) per far posto al successore all’ENI. Mattei avrebbe potuto garantire all’Italia l’indipendenza economica per mezzo di sistema cooperativo di stampo socialista. Si sarebbe quindi contrapposto agli imperialismi statunitense e russo, facendo diventare l’Italia fulcro dell’economia mediterranea.

Pasolini lo intuì e lo denunciò e questa molto probabilmente fu la sua condanna. Avanzò l’ipotesi di un legame tra la morte di Mattei e la strategia del terrore. Non solo nomina le stragi in corso, ma addirittura prevede quella di Bologna.

La morte di Mattei compare tra le carte preparatorie del romanzo dalle quali si dice sia sparito un intero capitolo, Appunto 21 Lampi sull’ ENI, la cui esistenza è un mistero nel mistero.

Il caso però è tutt’altro che risolto. Nel marzo del 2009 l’avvocato Maccioni e la criminologa Ruffini hanno presentato, per conto di Guido Mazzoni, cugino del poeta, un’istanza di riapertura del caso. L’anno dopo la Procura è tornata ad indagare.

Pare quindi esserci una speranza che il caso venga finalmente risolto. Si potrebbe quindi dare più attenzione all’ipotesi che Pasolini sia stato ucciso per le verità esposte in Petrolio e non ignorare il significato che assumono gli altri capitoli in relazione ad Appunto 21. In particolare il passaggio più famoso Io so, quello che comparve sul Corriere della Sera sotto forma di intervento il 14 novembre del 1974. Pasolini sosteneva di sapere delle matrici fasciste, neofasciste e neonaziste dietro alle stragi, dei coinvolgimenti della CIA e della DC. Parla di un “golpe“.

Tuttavia hanno ucciso l’uomo non l’artista. Le sue parole rimangono e come disse Biagi, ricordandolo in una trasmissione Rai, “lo innalzano”. Sta a noi ora non lasciarle cadere nell’oblio. Per ridare la giusta dignità a un uomo, un artista, un intellettuale. Per contribuire a risolvere uno dei troppi misteri all’italiana.


FONTI

Pier Paolo Pasolini ,S. De Laude, Petrolio,Mondadori.

Corriere della Sera

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Dee Giallo

La Storia siamo noi

 

 

 

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