Come si può salutare al meglio questo mese che ha sensibilizzato l’opinione pubblica, informato le giovani ragazze e dato coraggio a quelle più timide a farsi avanti e non a vergognarsi di parlare del seno o, come verrebbe più naturale dire, di tette? Come poter ringraziare Ottobre per aver scatenato quest’onda mediatica che ha fatto sì che sempre più persone, donne e uomini senza distinzione, si confrontassero riguardo all’enorme male e alla sua più meschina manifestazione che può, purtroppo, incarnarsi anche nel cancro al seno?
Si è lungamente parlato del lato clinico intervistando medici ed esperti per avere pareri specifici e per informare i lettori nel modo più preciso possibile, senza lasciare dubbi o perplessità sull’argomento.
Pare sia arrivato il momento conclusivo, della celebrazione, dell‘elogio alla bellezza femminile e alla sua potenza nascosta (e non) che rende questa creatura delicata e fragile sempre più un contrario di sé stessa.
Ti saluto, Ottobre, con una spolverata al passato, perché per far sentire bene una donna basta quel senso di sicurezza e protezione che poche cose riescono a darle, ma tra queste sicuramente c’è l’affondare le proprie radici nella storia e nelle pagine dei grandi autori del passato.
Erodoto ne parla nelle Storie, Omero nell’ Iliade e Diodoro Siculo nella Biblioteca Historica, per citare solo i più famosi. Quali sono, dunque, le donne dell’età classica?
Guerriere senza amore o legami, che non accettavano uomini nella loro comunità perché non erano ritenuti necessari, odiate dai greci e dalla loro mentalità maschilista che non riusciva a concepire l’esistenza di donne che usavano le armi e anche molto bene (talvolta addirittura meglio degli ellenici).
Il loro nome ha due principali significati: prive di seno o con un grande seno. L’alfa che si trova all’inizio della parola non è ancora chiaro se sia privativo o rafforzativo. Chi sono? Le Amazzoni o Ἀμαζόνες.
Spieghiamone l’etimologia nel caso dell’alfa privativo: “senza seno”, perché si narra che da piccole veniva mutilato loro il seno, ponendo sulla mammella destra un disco di rame rovente, in modo da bloccarne lo sviluppo e avere un tiro più preciso con l’arco.
Nel caso dell’alfa rafforzativo: “grande seno”, che sarebbe coerente con tutte le rappresentazioni e descrizioni di queste donne, le quali vengono sempre riportate con entrambi i seni prosperosi.
La spiegazione che giustifica l’alfa privativo potrebbe perdere di significato e se ne può derivare uno più appropriato e cioè “senza marito”. Si narra infatti che le Amazzoni non ritenevano necessaria la presenza maschile, non era nemmeno accolta all’interno della loro comunità, anzi, gli uomini venivano considerati solamente due volte all’anno, quando queste si recavano nei paesi vicini per riprodursi con essi. Erano ammesse nel loro villaggio esclusivamente le bambine, quindi tutti i maschietti nati da queste unioni venivano riconsegnati ai padri o uccisi.
Il primo pensiero comune sarà stato: mai conosciuto donne così determinate. Dalla descrizione riportata la donna amazzone media non sembrerebbe proprio essere quella che si preoccupa per come è vestita o per come le stanno i capelli. Potrebbe essere un punto di riflessione, o di evoluzione, suggeritoci direttamente dal periodo classico da cui provengono, da questa Asia Minore così favorevole all’indipendenza femminile.
Vogliamo le donne moderne come le Amazzoni, come guerriere che si fanno spazio tra lavoro e impegni, che si fanno strada in questo via vai di persone, situazioni ed esperienze, come se fossero davvero armate e pronte a combattere. Sono pronte a combattere. Nessuno le ha abituate a questo pensiero, non nel nostro periodo storico, ma arriva un potentissimo suggerimento dal passato, che dice di non essere sempre timide e composte, sempre perfette e aggraziate.
Abituiamoci a sentirci ogni giorno come Pentesilea, una delle regine amazzoni più famose, che fu chiamata da Priamo per combattere contro gli Achei, ma fu uccisa da Achille, che però rimase profondamente colpito dal coraggio della donna. Abituiamoci a farci notare per il nostro coraggio e per il nostro talento, non per la scia di profumo che ci lasciamo dietro.
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