Non bastava essere malati?

Alla nascita della psichiatria dobbiamo essere grati per innumerevoli ragioni. Forse non tutti sanno che prima di questa scienza, all’incirca fino alla metà del Settecento, alcuni dei cosiddetti “insensati” venivano chiusi come cani rabbiosi dentro gabbie all’interno delle abitazioni, altri esposti fuori dalle mure della città, altri ancora rinchiusi nelle “Torri per lunatici”, edifici a pianta circolari strutturati su più piani con un giardino interno nei cui muri erano infissi chiodi a forcella ai quali venivano incatenati i pazienti violenti. Da bravi occidentali del ventunesimo secolo vi chiederete i motivi di questi trattamenti disumani riservati a persone chiaramente sofferenti. Ebbene la tradizione secolare descriveva la follia come la manifestazione di forze demoniache che avevano preso possesso del dannato (all’epoca questa era più o meno la risposta della chiesa per tutto), di conseguenza l’isolamento delle persone “possedute” era una strategia di difesa verso qualcosa che terrorizzava.

Con l’Epoca dei Lumi non ci si accontentò più di questo tipo di spiegazioni così, grazie a personalità come Franz Anton Mesmer in Austria, Philippe Pinel in Francia e Vincenzo Chiarugi in Italia, che infatti sono riconosciuti come i fondatori della psichiatria, anche alla follia fu riconosciuto lo status di patologia “febbrile” (cioè che interessa tutto il corpo e non un particolare sito infiammato), iniziando così a indagarne, in nome della ragione e della scienza, cause e sintomi. L’indemoniato divenne semplicemente un malato che meritava una  dignitosa assistenza e cure adeguate. Stato e Società, dopo la rivoluzione francese, si presero carico dei loro elementi più instabili e emarginati costruendo i primi ospedali per alienati, i manicomi.

Ma, come diceva Goethe, “Dove la luce è più luminosa le ombre sono più profonde” e infatti la storia della psichiatria progredisce lasciandosi dietro diversi gravi errori, alcuni anche incomprensibili. Un esempio è il Nobel per la Medicina assegnato al medico portoghese Antonio Caetano De Abreu Freire Egas Moniz (1874-1955) nel 1949, fondatore della controversa neuropsichiatria. Il suo “merito” fu “La scoperta del valore terapeutico della leucotomia  in alcune psicosi“. Ma in cosa consiste la leucotomia? E’un intervento chirurgico volto al volontario danneggiamento di alcune zone cerebrali che si ritengono causa di determinate patologie: i pazienti che subirono queste operazioni avevano quadri patologici caratterizzati da ansia, depressione e psicosi.

Prima di spiegarla a dovere ne descriviamo la storia: essa venne per la prima volta sperimentata da medici ricercatori su Becky e Lucy, due scimpanzè che presentavano comportamenti rabbiosi e antisociali, comportamenti peraltro perfettamente spiegabili dal fatto di essere tenute in cattività, ma questa puerile motivazione non soddisfò i medici che intervennero rimuovendo i lobi frontali dei due primati. Il risultato fu un vero successo! Becky e Lucy divennero docili, tranquille e poco reattive, anche troppo poco, infatti sembrava che non fossero eccitate nemmeno da stimoli primari come il cibo. Egas Moniz era presente a questi esperimenti e, ormai convintosi che certe psicopatologie derivassero dal cattivo funzionamento di fibre nervose, decise di applicare questa procedura anche ai suoi pazienti. Dunque, con sue parole,

«L’idea era di operare sui cervelli dei pazienti, non direttamente sui gruppi di cellule della corteccia o di altre regioni, ma piuttosto interrompendo le fibre connettive tra le cellule dell’area prefrontale e le altre regioni, cioè sezionando la materia bianca subcorticale».

 

Sostanzialmente il medico trattò problematiche come ansia e depressione rendendo inutilizzabili i lobi frontali, perché non connessi al resto dell’ encefalo. I suoi pazienti, dopo l’operazione, risultarono apatici, incapaci di prendere anche la più semplice delle decisioni, incontinenti. Ma le patologie iniziali sembrarono risolte cosicché la leucotomia iniziò ad avere un grande successo negli anni quaranta, specie quando fu adottata in America da due neuropsichiatri, Walter Freeman e James W. Watts, che le cambiarono il nome in Lobotomia.

Questi semplificarono la procedura rendendola un’operazione da ambulatorio, prescrivendola anche per i sintomi più lievi e nei soli Stati Uniti vennero eseguite più di cinquemila lobotomie. Tra i pazienti che “goderono” dei suoi effetti è compresa anche Rosemary Kennedy, sorella di JFK, forzata dal padre, stanco del suo umore lunatico e dei suoi comportamenti sessualmente ambigui. Missione Compiuta: Rosemary non era più una vergogna per i suoi comportamenti sessuali, parenti “soddisfatti” nonostante si facesse la pipì addosso e anche se, sentendola parlare senza vederla, avreste giurato di aver appena chiacchierato con una bambina di terza elementare.

Lobotomia, elettroshock, inocuzione di malaria per curare casi di psicosi e paralisi, sono terapie estremamente invasive e spesso hanno lasciato più danni di quanto abbiano curato effettivamente. Sono metodi sintomatici di una medicina e psichiatria arretrate. La lobotomia, però, non è stata questione solo di arretratezza ma anche un modo per evitare tutto ciò che malattie come la depressione comportano, evitare il complicato percorso del ritrovamento di significato della vita, il processo di riabilitazione. Era molto più facile pensare di poter semplicemente tagliare dei fili e far sparire la tristezza. Per questo probabilmente così in tanti hanno sperato in quest’operazione per risolvere i propri problemi o quelli dei famigliari e hanno accettato gli effetti che ne conseguivano;  purtroppo così si è finiti solamente per togliere tutto ciò che c’era di umano in una persona, rendendola spesso un’ ombra demente di ciò che era.

Perché la depressione non è questione di fili che non funzionano, c’è qualcosa che quella persona ha perso o non ha mai avuto, rimanendo priva anche della voglia di ritrovarlo. Ciò implica il bisogno di aiuto, di qualcuno con cui parlare anche quando parlare non vuole, il bisogno di supporto costante e continuo, ed è difficile, usurante, ma giusto.


Fonti: (1) (2) Storia della medicina e della psicologia 2012-Felici Editori Srl

Credits: Copertina Wikipedia (1)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Un commento su “Non bastava essere malati?”