Con questa ultima parte dedicata a Raivo Virtanen, eroe del dittico di “Millennio di Fuoco” di Cecilia Randall (di cui trovate la recensione sempre su questo sito), si conclude la rubrica sulla storia dell’eroe nero nella letteratura. Questo articolo contiene spoiler.
Il nome dell’eroe è parlante: Raivo nella lingua dei finni significa Furia o Guerriero ed è solitamente dato ai bambini destinati a grandi imprese militari. Nel primo capitolo, egli viene descritto così come appare agli occhi dell’intera umanità: “Il Traditore dalla Mano Insanguinata, l’umano che aveva venduto anima e corpo alla femmina infernale e che da quasi tre secoli faceva strage di quella che era stata la sua specie … un mostro che aveva sterminato la sua stessa famiglia”. In realtà le cose sono molto più complicate di quanto sembrino: Raivo Virtanen era, nel 1699, il migliore tra i generali dell’esercito umano. Legato a Maila (capo del popolo sahavi) da un amore profondissimo, combatteva per il bene della sua gente pagana ogni tipo di battaglia, e si prodigava in patti politici affinché l’elezione del nuovo imperatore potesse favorire il suo clan e tenere al sicuro la sua amata. Tuttavia, nel 1704 improvvisamente Raivo cambia fazione, facendosi trasformare da Ananta stessa, regina dei demoni, in un manvar. Nessuno riesce a spiegarsi il perché. Il mistero sarà svelato solamente a Seija, la ragazza che duecentonovantacinque anni dopo l’accaduto sembra l’unica ad avere un qualche potere sul Traditore. È principalmente attraverso i suoi occhi che la Randall incuriosisce il lettore sul passato dell’antagonista. Già nei primi incontri, il Traditore appare molto più umano di quanto gli altri non credano.
“Non era il mostro raccapricciante dipinto dalle leggende […] la leggenda nera degli umani era un uomo e non chissà quale creatura deforme”
Le uniche mostruosità fisiche sono i risultati della mutazione manvar: la pelle del braccio destro è rossa, la mano artigliata, le striature rosse si estendono fino al viso e su una parte del petto, la pelle è glabra, le orecchie a punta, al posto dei denti ha le zanne, gli occhi sono pallidi e irradiati di una luminescenza ferina, l’ossatura è possente e l’altezza statuaria. Le altre caratteristiche fisiche sono invece normalissime: capelli corvini lunghi fino alle reni, un aspetto da trentaduenne, voce profonda senza nulla che possa far pensare a un mostro, il fisico di un guerriero. È durante questo incontro che Raivo svela a Seija che tra loro c’è un qualche legame di cui lei è però ancora all’oscuro. Più avanti nella narrazione, la giovane, alla Torre della Strage, grazie al potere di una bambina veggente, scopre la tragica verità sul passato di quell’uomo: mentre era lontano a combattere per i cristiani, la sua amata Maila cadeva vittima degli intrighi politici per l’impero, e veniva trucidata insieme a tutta la sua gente da chi credeva alleati. Quando Raivo torna alla Torre, è troppo tardi: trova Maila in una pozza di sangue e sprofonda nella disperazione e nel senso di colpa per non essere stato capace di proteggerla. La regina Ananta è lì, ha visto tutto l’accaduto, e aspetta che il generale si sfoghi prima di farlo ragionare: i corpi dei demoni che vede a terra sono in realtà stati trasportati lì in un secondo momento, le sentinelle sulle mura sono rivolte verso l’interno. Un’abile messinscena per far ricadere tutto sui manvar. Raivo si rende conto con orrore di essere stato tradito e la consapevolezza che tutti i suoi sforzi per proteggere la sua gente non sono serviti a nulla lo svuota completamente.
“La sua vita è finita, il suo mondo è finito. Ciò per cui aveva un senso lottare e vivere è stato spazzato via. Ciò che aveva giurato di proteggere con la sua stessa vita è stato distrutto. Ha fallito come guerriero e come uomo.”
Convinto di non aver più battaglie da combattere, rimane esterrefatto quando Ananta gli propone di diventare un capo manvar ai suoi ordini, offrendogli la possibilità di vendicarsi. L’idea in un primo momento risulta aberrante, ma nonostante questo il guerriero non riesce a rifiutare: “Qualcosa sta crescendo nel profondo, sotto l’orrore, il dolore e la disperazione, qualcosa di più forte dell’istinto di sopravvivenza, qualcosa che pretende sangue. Vendetta”. Gli attimi che seguono sono di profondo tormento, Raivo è lacerato tra il desiderio di morire con onore, senza darla vinta ai demoni, e quello di farla pagare a tutti gli orditori della congiura. È quando il suo sguardo si posa sugli occhi sbarrati di Maila che prende una decisione. Pensa che se fosse viva, lei gli impedirebbe di compiere un’atrocità simile. Ma lei è morta, e come lei tutta la sua gente.
“Che brucino il suo onore, la sua umanità, la sua stessa vita: ‘io voglio … vendetta‘ scandisce, e così decide il suo destino”
Dopo la mutazione, l’eroe tocca con la mano artigliata lo stendardo morello con la torre argentata e disegna cinque strisce di sangue da destra a sinistra. Diventerà il blasone del Traditore. Come nel caso di Elric, ci si trova di fronte un eroe costretto dalla vita a scendere a patti con le forze del male. Il fatto che decida di non morire, ma di continuare a vivere un’esistenza segnata dal dolore per la perdita subita, è ciò che rende il personaggio unico nel suo genere. Un atto di coraggio non da poco, non solo per il dolore fisico che comporterà la mutazione, ma per tutti i fantasmi che continueranno ad inseguirlo. Maila resterà sempre una ferita aperta, diventerà un’ossessione simile a quella di Heathcliff per Catherine. E quando appare Seija, fisicamente identica all’antico amore, Raivo si chiede se sia la sua nemesi o la sua possibilità di riscatto. È grazie a lei che riscopre il suo lato più umano, grazie a lei ricomincia a vivere davvero. Dopo la mutazione, il generale fa strage di tutti coloro che lo avevano tradito, in soli sette anni riesce a privare l’umanità di un imperatore che tenga uniti tutti i fronti interni, gettando il caos in quella che ormai è la sua ex specie. Nella vendetta, il personaggio è simile a Medea sia per la lucidità con la quale raggiunge i suoi obiettivi, sia per l’efferatezza degli omicidi. Sul campo di battaglia promette la morte all’avversario infilzando la testa di un umano su una picca e indicando il prossimo che farà la stessa fine. “Il Traditore … aveva ancora senso chiamarlo così? Lui era stato tradito per primo. Gli umani avevano creato da soli il loro nemico peggiore”, riflette Seija dopo esser venuta a conoscenza della verità.
Tanta ferocia contro gli avversari è contrapposta all’atteggiamento che Raivo adotta con il suo esercito: innanzitutto non fa mai trasformare gli umani in manvar, ma manda il suo marescalco a reclutarne negli eserciti degli altri generali vaivar. I vaivar solitamente sfruttano i manvar come schiavi, poiché li reputano creature inferiori. Raivo, invece, tratta i suoi manvar non come schiavi, ma come guerrieri. Li ha resi un popolo libero di cui lui è solo il capo, non il padrone, e liberandoli dalla condizione di schiavitù si è assicurato la loro più totale fiducia e lealtà. Ognuno dei suoi soldati sarebbe ben contento di dare la vita per lui. In particolare questo aspetto emerge nel rapporto con il suo primo ufficiale: Kzar. Sottratto al lavoro da miniera quando era ancora un ragazzino, Kzar è quanto di più simile a un amico per Raivo. È legato al suo generale da una profonda e sincera riconoscenza, obbedisce solo e soltanto ai suoi ordini, non esiterebbe a dare la sua stessa vita per lui. Eppure la sua devozione non risulta stucchevole come quella dei vaivar verso Ananta: ha un carattere indomito, e quando non è d’accordo con le decisioni del suo comandante non manca mai di farglielo notare, seppur solo con l’espressione del viso. Tuttavia si fida ciecamente, e anche quando pensa che la soluzione del suo signore non sia la più giusta, esegue gli ordini senza osare discutere. Non si fa intimorire dagli altri ufficiali e rischia la vita ogni volta che un superiore gli chiede di disobbedire al suo generale. È l’intervento di quest’ultimo, sempre provvidenziale, a salvargli la pelle. Come da umano, Raivo si preoccupa di fare il bene per la sua gente, indipendentemente dalle richieste di Ananta. Dopo la disfatta subita ad Etten, a causa dell’incontro destabilizzante con Seija, gli viene rimproverato il disonore che ha oltraggiato la regina demoniaca, ma lui si arrabbia con sé stesso per aver lasciato morire centinaia dei suoi uomini e per aver costretto i restanti a una ritirata vergognosa: “i suoi guerrieri non meritavano un tale affronto e i caduti esigevano vendetta”.
È questo il principale motivo dell’antagonismo tra Raivoe uno dei generali demoni, Maharashta, un vaivar geloso di tutte le attenzioni e le premure che Ananta riserva al rivale manvar. Questa contrapposizione risalta ancora di più la grandezza di quest’ultimo, la sua nobiltà d’animo, la sua lealtà, il suo eroismo e la sua intelligenza di contro all’infima invidia di Maharashta e alla sua boria insopportabile. La codardia del vaivar si rivela nel prendersela sempre con i sottoposti di Raivo, ma nell’indietreggiare quando c’è la possibilità di un conflitto aperto con quest’ultimo. Inoltre, la Randall sottolinea la componente sempre ribelle di Raivo, (un’altra caratteristica che lo rende amabile agli occhi del lettore) anche nei confronti di Ananta stessa. Una spavalderia che paradossalmente piace molto di più alla regina demoniaca di quanto non le piaccia la totale sottomissione di Maharashta. Per la perfida Ananta è molto più divertente tenere al guinzaglio un ribelle che un devoto. Nel rapporto con la primigena, il manvar riprende i tratti del Satana di Milton: Raivo non si rassegna a piegare la testa di fronte a quella che tutti considerano una divinità, e in cuor suo aspetta il momento propizio per ucciderla. Non dimostra per lei nessun intento celebrativo, a differenza di tutti gli altri generali, nessuna volontà di ottenere il suo compiacimento e il suo favore, al contrario: la disprezza e la considera un altro dei suoi obiettivi.
La svolta decisiva si ha nel secondo volume del dittico: dopo il fallimento dell’alleanza tra Lothar IV di Augsburg e il popolo sahavi, Seija si ritrova in una situazione disperata, tra il fronte cristiano e quello vaivar, con il fratello Ari morente e la bambina veggente a carico. L’unica possibilità di salvezza è raggiungere “il peggiore dei mostri”, che da quando ha saputo del suo fidanzamento con il futuro imperatore si è impegnato in una caccia senza sosta. Seija ha scoperto l’alleanza tra Lothar e Maharashta e confida che Raivo non ne sia stato messo al corrente.
“Il Traditore non poteva essere d’accordo con il principe Lothar, perché lui non agiva così, con sotterfugi e intrighi, e perché non si sarebbe mai servito dell’uomo che aveva giurato di uccidere … il discendente diretto degli assassini della sua gente e della sua donna”
L’istinto le ha suggerito bene, e quando si trova al cospetto di Raivo, compra la libertà e la salvezza del fratello e della bambina con il suo corpo e la sua lealtà al Traditore, sfruttando la sua somiglianza con Maila. Inizialmente Raivo è brutale con lei, ma subito dopo essersene approfittato, diventa preda di forti rimorsi: “scese le scale, furioso con sé stesso. […] Aveva voluto punirla, ferirla per vendicarsi di chi o di cosa nemmeno lui lo sapeva più. […] Aveva umiliato colei che amava più di sé stesso, aveva profanato il suo ricordo, che lo aveva sostenuto in quei secoli di odio e di buio, e l’aveva fatto nella sala in cui si era disperato sul suo cadavere. Cosa lo distingueva ora dalle carogne che l’avevano trascinata su quello stesso pavimento prima di ucciderla?”; anche il tentativo infantile di giustificarsi dicendo a sé stesso che non era Maila gli sembra indegno e patetico, e si sente il mostro che gli umani temono come mai prima. Da adesso in poi cercherà di riprendere il controllo sulla sua ombra e sulla sua intera esistenza, anche se con gravi difficoltà. La sera di quel giorno stesso, i due si ritrovano a condividere la stessa stanza e lo stesso letto, ma Raivo indugia prima di fare qualsiasi cosa, seduto davanti al fuoco. “A Seija sembrò di percepire nella stanza il peso dei secoli. Lo vide nella curva delle spalle del manvar, nella piega delle sue labbra serrate: un peso indicibile, logorante. […] La spiazzava vederlo così assorto, inerte, lui che non era stato fiaccato né dalle catene né dalle torture di Etten”. Subito dopo il manvar offre alla sahavi la possibilità di ucciderlo con la lama fiamma.
“Seija esitò. Era libera di colpirlo e non ci riusciva, perché lui non si sarebbe difeso, ora lo sapeva con assoluta certezza. Le stava imponendo davvero la scelta.”
La ragazza non lo fa (sebbene lui abbia sperato il contrario), scegliendo di fidarsi di lui. Da questo momento tra i due si instaura un legame insperato, che da semplice alleanza diventa lealtà reciproca, passando per un rapporto da compagni d’armi, fino ad arrivare all’amore. Raivo pian piano inizia a distaccarsi dall’amore per Maila e ad amare Seija non più per la somiglianza con la fiamma defunta ma per quella che è. Il mostro tanto temuto si rivela contro ogni aspettativa un punto di riferimento per Seija e la sua gente, protettivo nei confronti della prima, il miglior alleato per la seconda. Finalmente è giunto il momento di ribellarsi ad Ananta e ai suoi intrighi politici: mentre ella vuole Lothar sul trono per potersi servire di un imperatore fantoccio, Raivo ha giurato di uccidere lui e chiunque altro interferirà. Anche Seija è una sorpresa per il generale manvar: un capo sahavi molto saggio, che riesce a convincere il testardissimo Ari a stringere un’alleanza con i manvar, riempiendo il Traditore di orgoglio, dimostrando di essere “una donna per cui e con cui affrontare una guerra”.
Nel secondo romanzo emerge la parte più umana del personaggio nei rapporti interpersonali che nel primo libro era stata descritta, ma non in modo dettagliato. Preparandosi alla guerra contro l’esercito cristiano e contro quello vaivar, nell’alleanza tra Raivo e Seija i corrispettivi popoli riescono a vedere una terza via mai sperimentata. Quelli che venivano considerati mostri, si rivelano in realtà, nei modi e nei costumi, persone comuni tanto quanto gli umani. All’inizio sembra un’alleanza molto precaria, ma sul campo di battaglia manvar e sahavi riescono a collaborare. Seija difende Raivo da tutte le accuse che i suoi compagni gli lanciano, e una sera, esasperata dai commilitoni che lo definiscono “mostro”, sceglie perfino di cenare al campo manvar. Raivo, con Seija al proprio fianco, sembra tornare sempre più umano. Un giorno, mentre lavora per la costruzione delle carrucole, parlando con Kzar, il generale tanto temuto piega indietro la testa e ride, “una risata spontanea, profonda. Seija ne rimase impressionata. Non l’aveva mai visto ridere e a un tratto, guardandone il profilo senza le striature rosse, scorse l’uomo che era stato secoli prima, l’eroe che Maila aveva amato e il popolo rispettato. La sua risata era spavalda, sincera. Non aveva paura, lui, ma una fiducia totale nei suoi preparativi e quella volta la sua battaglia non mirava alla strage ma alla difesa di un popolo intero. Il solo sentirlo dava coraggio”. Il carattere inizialmente tetro e malinconico dell’eroe che ricorda quello di Moorcock, si va rischiarando con l’acquisto di peculiarità che ricordano più il Conan di Howard, quali la spavalderia e la cieca fiducia in sé stesso. L’unica traccia di ferinità resta sul campo di battaglia, dove Raivo sfoggia lo stesso furor che era stato del Cesare lucaneo. La sete di sangue è più forte del raziocinio e lo porta sempre verso la strage, anche se Seija si rende conto che non è una peculiarità solo demoniaca: anche i sahavi, esaltati dalla vittoria, si lanciano all’inseguimento degli avversari in ritirata. È la stessa Seija che si intromette in un combattimento e ferma Raivo dall’uccidere il principe Lothar, accusandolo di essere un mostro. Quest’accusa farà presa sull’animo di Raivo, che nonostante la furia per l’affronto, non può far altro che darle ragione. Dopo questa stessa battaglia, il manvar decide di andare ad uccidere Ananta insieme a dei volontari. Sa che è una missione pressoché suicida, ma è disposto a morire nel tentativo. Tutto pur di non sottomettersi mai più a nessuno. Le parole della sahavi gli sono risultate così vere, che sente il dovere di vendicarsi “di chi gli aveva tolto l’umanità e tenuto il guinzaglio al collo per così tanto tempo da fargli dimenticare cos’era stato.”
“Libero o morto, non c’erano alternative, o almeno lui non riusciva più a tollerarle”
Con suo grande stupore, Seija gli impone di portarla con sé. Ormai legati l’una all’altro, la ragazza rivendica il suo ruolo di compagna e resta ferma nella sua decisione. Nello scontro finale con Ananta, entrambi rischiano la vita ed è proprio la visione di Seija morente che dà all’amante la forza necessaria per balzare al collo della regina e pugnalarla ripetutamente al cuore con la lama fiamma. Tuttavia, l’ingerimento del sangue demoniaco lo rende soggetto a una nuova mutazione, dolorosissima, che dura giorni. Sta per lasciarsi morire quando Seija va ad implorarlo di continuare a vivere per lei e per un figlio che deve nascere. Dopo tanto tempo, Raivo decide finalmente di lasciar andare il ricordo di Maila, fa di Kzar il capo del popolo manvar (ormai in ribellione in tutti gli eserciti vaivar) e può vivere serenamente con Seija il resto della sua esistenza.
Un eroe tragicamente segnato dal destino, che riprende i caratteri e i toni dei suoi predecessori, che lascia che la sua ombra lo domini insieme ai fantasmi del suo passato, che sfoga nella vendetta il dolore per l’amore perduto, ma che, a differenza di tutti gli altri, si riscatta e riesce a fare della sua natura ibrida un punto di forza per la protezione di un popolo e dei suoi cari, che dopo un’esistenza votata alla distruzione inizia a costruire un futuro. Differente da tutti gli altri per il suo destino, Raivo è un eroe che commuove, non solo per la tragicità del suo passato, ma per la speranza che c’è nel suo futuro.
Fonti:
C. Randall, “Millennio di Fuoco-Seija”, Mondadori, settembre 2013.
C. Randall, “Millennio di Fuoco-Raivo”, Mondadori, settembre 2014.
immagini di Alex Canali