Nella storia ci sono sempre stati viaggiatori: dalle grandi popolazioni nomadi ai mercanti, il nostro mondo è sempre stato testimone di genti che hanno passato la loro vita girovagando. Ma chi avrebbe mai pensato cento anni fa che la terra sarebbe diventata tanto piccola da poter volare da una parte all’altra del pianeta in una sola giornata? Lo sviluppo delle vie di comunicazione ha accorciato le distanze, rendendo la pratica del viaggiare possibile quasi a tutti. Il viaggio rappresenta ormai per molti di noi la pausa dalla nostra quotidianità a cui tornare però non appena siamo scesi dall’aereo; uno sviamento momentaneo dalla routine e un tuffo in un mondo a cui non apparteniamo, con la consapevolezza però di poter sempre tornare nelle nostre case.
Ma se il viaggio diventasse un ossessione tanto grande da non potersi più fermare? E se la nostra casa non fosse più un porto sicuro ma solamente un limite alla nostra voglia di scappare? Immaginate di non potervi fermare mai, di sentire la nostalgia di un posto che ancora non conoscete. Se questa descrizione vi appartiene potete considerarvi dei Wanderlust. Dall’accostamento delle parole tedesche wander, ovvero camminare, e lust, cioè desiderio, la parola definisce colui che non è in grado di fermarsi e per il quale il viaggio è un’esigenza. Si tratta di una malattia o di una vera e propria ossessione racchiusa secondo recenti studi, nel gene DRD4-7R o per meglio dire appunto il gene Wanderlust, legato ai livelli di dopamina nel cervello. Una passione inscritta nel DNA di chi lo possiede, sembrerebbe, e se siete tra questi sentitevi degli eletti, dal momento che è posseduto solamente dal 20% della popolazione ed è strettamente legato presumibilmente alla vostra provenienza. Secondo gli studi di Chuansheng Chen le popolazioni più propense a trasmettere il gene sono quelle più lontane dall’Africa, la culla della civiltà da cui l’uomo ebbe origine, e che sono quindi il frutto di una migrazione.
La dimensione del viaggio però non è l’unica peculiarità ad appartenere a questi personaggi: la propensione per l’avventura e il pericolo sono strettamente connesse al gene Wanderlust.
Il Wanderlust come personaggio è un’icona del mondo moderno, celebrata per la capacità di sfuggire dalla società che percepiamo come grigia e svuotata di significato, e legata allo stereotipo di colui che è capace di ritornare ad una dimensione primitiva di vita, dove l’uomo e il suo peregrinare si fondono con la natura e i suoi ritmi.
Per quanto avventurosa possa sembrare la vita di un Wanderlust, c’è però da considerare che chi possiede questo gene vivrà sempre in una condizione di angoscia, data dall’impossibilità di mettere radici e dalla necessità di colmare un vuoto incolmabile. Gli occhi del Wanderlust cercheranno sempre cieli nuovi su cui soffermarsi ed i suoi piedi desidereranno sempre calpestare terre ancora non battute. Ci piace pensare che esista un posto in questo mondo per ognuno di noi: una città in cui sentirsi a proprio agio, un lavoro che ci appartiene. Per quanto possa piacerci esplorare il mondo per molti di noi la casa è una sola, quella a cui tornare. Il Wanderlust al contrario una casa non ce l’ha perché non appartiene a nessun posto, o forse semplicemente perché sente di appartenere un po’ ad ogni posto. Colmo di desiderio e curiosità insaziabile sentirà sempre la necessità di riprovare sulla sua pelle quell’adrenalina e appagamento momentaneo che solo chi viaggia conosce.
Come disse Charles Baudelaire:
Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Un commento su “Viaggio: la malattia del Wanderlust”
Bellissimo articolo. Per me il wanderlust è solo un privilegiato che ha trovato il suo di significato, e non è poco!