Le guerre di oggi, si sa, si combattono anche su Twitter. In data 17 settembre 2017 Donald Trump si affida a un tweet per bollare il famigerato presidente nord-coreano Kim Jong-Un, artefice di innumerevoli provocazioni nucleari, come “Rocket Man”, ovvero “uomo razzo”. A rispondere, un tempestivo senatore Antonio Razzi, che non accetta la situazione, e sfoggiando un inglese da migliori università d’élite britanniche rivendica per sé l’identità di “Rocket Man”. Il tweet del politico italiano in risposta al Tycoon è il seguente: “President does not confuse the Rocket Man I am #Rockets #Razzi”.ù
Ovviamente, il messaggio del senatore Razzi si basa su un gioco di parole, peraltro non particolarmente chiaro a un interlocutore che non abbia familiarità con l’italiano, ma ad attirare l’attenzione è la forma del tweet. C’è un che di macchinoso in quel “President does not confuse the Rocket Man I am”, qualcosa di robotico. Non sembra il frutto di una persona che, pur con qualche errore, provi a formulare un proprio pensiero in una lingua straniera. In effetti, basta un rapido controllo su Google Traduttore per chiarire qualsiasi dubbio: non è difficile ricavare dal tweet originale il probabile messaggio in italiano (“Presidente non si confonda il Rocket Man sono io”), e immettendolo nello strumento di traduzione del motore di ricerca si ottiene il tweet di partenza, parola per parola, in “inglese”.
Il fatto che molte persone si affidino a Google Traduttore o simili strumenti di traduzione automatica, soprattutto sul web, non è affatto sorprendente. È facile capirne il motivo: questi strumenti sono comodi, immediati, e ci permettono di capire contenuti in lingue che non conosciamo, o, come nel caso dell’inglese, che non conosciamo così bene. Ma sono davvero affidabili? Il caso del tweet di Razzi ci pone davanti alla inconfutabile realtà che così non è. Questi strumenti sono nati da pochissimo, e presentano ancora gravissime imperfezioni. Il già citato Google Traduttore, uno dei primi e senza dubbio il più usato, è stato lanciato solo nel 2006. E pur avendo fatto incredibili progressi in questi undici anni, forte anche di un traffico che stando al 2015 contava ben 100 miliardi di parole tradotte ogni giorno, rimane ancora troppo legato a traduzioni letterali e, orrore di tutti i traduttori professionisti, basate su un sistema parola per parola.
La tecnologia ha rivoluzionato, come molti altri campi, anche quello della traduzione. Se prima occorrevano pesanti e costosi tomi per avere a disposizione l’intero vocabolario di una lingua, oggi è possibile consultare il patrimonio lessicale di qualsiasi idioma mai parlato nella storia dell’umanità direttamente dal proprio portatile o smartphone, guadagnando in tempo e comodità. I traduttori negli ultimi anni hanno fatto ampio uso di dizionari online, strumenti di traduzione assistita, in rari casi anche di traduzione automatica, ma nel futuro più prossimo è ancora impensabile una sostituzione totale della macchina all’uomo. Gli strumenti come Google Traduttore si affidano ad un algoritmo: sondano statisticamente il significato e il contesto in cui una parola è più largamente usata, e ne offrono la traduzione più frequente nella lingua d’arrivo. Ma il linguaggio non è una scienza esatta, motivo per cui applicare metodi rigorosamente scientifici ad una serie di parole molto spesso dà risultati innaturali, se non addirittura sbagliati.
Ritornando al nostro tweet, nessuna parola tradotta dalla macchina è di per sé sbagliata. È l’ordine e la relazione tra le parole a fornire un risultato surreale, risultato che dà adito a interpretazioni confusionarie ed erronee. Partendo dal principio, la macchina non riconosce la forma di cortesia alla 3^ persona singolare italiana e la traduce (sbagliando) con una 3^ persona singolare anche in inglese: se in italiano Razzi si rivolge al presidente americano, in inglese sta parlando del presidente. Ancora, il verbo inglese “to confuse” vuol dire “confondere” e non “confondersi” (in inglese “to get confused”): un dettaglio banale in apparenza, se non fosse che sconvolge l’intera struttura della frase. In inglese “confuse” esige un oggetto, qualcosa (o qualcuno) che si possa confondere: leggendo il tweet del senatore italiano, viene naturale collegarlo all’immediatamente successivo “Rocket Man”. Per intero, il messaggio in inglese assume sfumature da teatro dell’assurdo:
“Il presidente non confonde il Rocket Man che sono io”
O almeno, questo è quello che capirebbe un madrelingua leggendo il tweet di Antonio Razzi. E qui sta la chiave del problema: una lingua è molto più di un insieme di parole. Ogni lingua è un codice a sé, con proprie regole, strutture, schemi mentali. Comprendere queste sovrastrutture e adattarle per la fruizione di un’altra lingua (e cultura) va ben oltre le capacità e i limiti di un mero strumento di traduzione automatica, che perlopiù si limita a tradurre nella lingua di arrivo mantenendo schemi e strutture della lingua di partenza. È per questo che il tweet in questione, che può al massimo strapparci un sorriso, per un americano potrebbe rivelarsi un vero rompicapo. E non è un caso che i primi ad essere consci dei problemi della traduzione automatica sono proprio Google Traduttore & co. Una delle nuove frontiere in ambito di traduzione automatica è l’avveniristica ricerca sulle connessioni neurali. Questo permetterà di abbandonare il modello del rigido algoritmo matematico, in quanto gli strumenti stessi saranno in grado di capire un testo in tutte le sue sfaccettature, prima di procedere nella traduzione. Ma perché ciò sia possibile occorre studiare a fondo gli intricati meccanismi del cervello umano e riprodurli in una macchina, il che richiederà ancora decenni di studi, esperimenti e tentativi. Fino ad allora, possiamo stare tranquilli: nessuna macchina potrà davvero sostituire una traduzione umana. Non ci credete? Chiedete a Rocket Man.
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