Il continuum artistico tra presente e passato a Palazzo Ducale di Urbino

Urbino, grandiosa corte di Federico da Montefeltro, proprio grazie al duca visse un periodo felicissimo tra gli anni ’40 e ’80 del 1400. Montefeltro cambiò profondamente l’assetto della città, specie da un punto di vista urbanistico, facendo erigere quello che ancor oggi è considerato il simbolo della città stessa: il Palazzo Ducale.

Per la sua realizzazione Montefeltro ingaggiò tre importanti architetti del tempo: Maso di Bartolomeo, Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini che in successione completarono l’edificio. Ammirevole è l’inconfondibile facciata, volutamente d’impatto, delimitata da due torrioni cilindrici culminanti in cuspidi aguzze e caratterizzata da maestose logge sovrapposte nella parte centrale, coperte da volte a cassettoni. Insomma, da quel momento Urbino divenne “una città in forma di palazzo” (Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, 1528).

Al suo interno è possibile visitare la Galleria Nazionale delle Marche, con celeberrimi quadri di artisti che hanno segnato lo sviluppo della storia dell’arte del periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano, come Piero della Francesca, Luciano Laurana, Raffello Sanzio ed altri ancora. Notevole è anche lo Studiolo del duca, il piccolo ambiente collocato al piano nobile distinto da un fregio di ventotto uomini illustri realizzato da Pedro Berruguete e Giusto di Grand.
Di recente, questo meraviglioso luogo, in grado di riportare indietro nel tempo ogni visitatore, si è aperto all’arte contemporanea, esposta ed intesa come intrinseca conseguenza dello sviluppo artistico dei secoli precedenti.

All’interno del Cortile d’onore è stata temporaneamente collocata l’affascinante scultura dell’artista britannico Tony Cragg considerato uno dei massimi scultori viventi, “Elliptical column”, (che stata la più grande opera esposta come parte integrante della mostra londinese Exhibition Road del 2012). Si tratta di una colonna in acciaio inox sottile, caratterizzata da un andamento tortuoso, che ricorda le colonne tortili del Baldacchino del Bernini, e da una finitura lucida in grado di riflettere l’ambiente in cui è collocata: il suo fine è proprio quello di interagire con questo particolare luogo. Dunque riflette i molteplici scorci del Cortile, dando la possibilità al fruitore di riuscir a cogliere ogni aspetto architettonico del Palazzo.

“C’è l’idea che la scultura sia statica, o forse addirittura morta, ma io sento l’esatto contrario. Non sono una persona religiosa, sono un materialista assoluto. Per me il materiale è emozionante e in ultima analisi, sublime. Nel momento in cui creo una scultura, vado in cerca di una spiritualità o di un’etica del materiale. Voglio che il materiale abbia una dinamica, per spingere e muoversi e crescere” spiega Cragg, che cita Medardo Rosso come padre del suo approccio all’uso dei materiali nella scultura.

È ancora più evidente l’intento di creare una continuità tra presente e passato nella mostra collocata nel Palazzo, “Tra memoria e mito” di Mario Logli.  Dopo varie e formative esperienze nel campo della ceramica e dell’arte scenografica, Logli si è fatto notare con una serie di mostre personali organizzate in Italia e all’estero. La mostra si presenta come un continuo processo dialettico, caratterizzato dal desiderio di futuro e nostalgia del passato, dal sentimento e dalla ragione, intriganti coesistenze che fanno dell’opera di Logli un’occasione sempre nuova di confronto e riflessione tra fantasie e realtà, tra fughe e ritorni.  Nelle sue scenografiche e coloratissime tele, Logli si pone come sorta di cantore della città dei Montefeltro (sua città natale), la quale è rappresentata come centro cosmico ed è messa in relazione con i nostri tempi, caratterizzati dalla tecnologia. In questo modo Logli ha dato vita a composizioni surreali e persino metafisiche che interrogano ripetutamente l’osservatore.

La mostra si apre con una reinterpretazione dell’artista del celebre dittico degli Uffizi, con le effigi di Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza. Logli li ha dipinti nel momento del loro sgretolamento, come metafora dello scorrere del tempo: il passato che lascia posto al presente, mentre sullo sfondo resta intatta la figura solida e compatta del Palazzo monumentale. Forse il messaggio che vuole comunicare è che “gli uomini passano e le loro opere restano”. Ecco perché, nel proseguimento della mostra, dipinge Urbino come polo dell’universo. La città in forma di palazzo sopravvive al fluire della storia e si pone come esempio di una relazione senza fine tra passato, presente e persino futuro.

Immaginando che qualcuno avrebbe potuto chiedersi il reale significato delle opere in mostra, Logli durante l’inaugurazione, ha ironizzato rivolgendosi al pubblico: “Non vi preoccupate se non capite qualche opera. A volte non le capisco neanche io”.

Fonti

Foto: copertina

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