Ormai la rete e i suoi servizi sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana, diventando un elemento a noi indispensabile. Bisogna saperli utilizzare e la nuova generazione di nativi digitali è sicuramente più avvantaggiata rispetto ai cosiddetti migranti digitali, le vecchie generazioni che stanno imparando con più difficoltà il loro utilizzo.
Tra i siti che senza ombra di dubbio vengono maggiormente visitati ed usati abbiamo Facebook e Google.
Il primo è stato creato da Mark Zuckerberg ed è nato nel 2004. Come si può anche vedere dal film “The Social Network” (2010) di David Fincher, Facebook è nato come sito per mettere in comunicazione gli studenti dell’università di Harvard, ma divenne in breve tempo accessibile anche a quelli di altre università, come quelle vicino Boston e la Stanford University.
Successivamente iniziò ad essere usato anche dagli studenti delle superiori per poi espandersi sempre più, arrivando anche in Europa e poi nel resto del mondo.
Oggi i dati ci dicono che su questo sito sono stati raggiunti 2 miliardi di utenti attivi al mese: nel nostro paese ce ne sono circa 30 milioni e il numero continua a crescere grazie ad un continuo aumento dell’uso di questo social tra gli over 35.
Il secondo invece è un motore di ricerca nato nel 1997 che oltre ad avere la funzione di mostrare i link dei siti più attinenti alle parole chiave che si inseriscono nella barra per la ricerca, ha anche funzioni di ricerca di foto, video, news più recenti, funzioni di traduttore, di navigatore ecc.
È uno dei siti più utilizzati al mondo, tanto che anche in italiano il verbo “googlare” che significa “fare ricerca su Google” è diventato comune e molto usato.
Entrambi questi servizi sono gratuiti e non è un caso che molti si chiedano spesso come questi siti riescano a guadagnare. La risposta è molto semplice: attraverso la pubblicità.
Google negli ultimi anni ha cercato di puntare ed investire su questo settore per guadagnare, ma non solo.
Infatti il motore di ricerca ha iniziato ad investire in altri campi e diventare il nuovo protagonista dello sviluppo della robotica.
Nel 2013 Google ha acquistato una della più importanti aziende di robotica, la Boston Dynamics.
La sua produzione si concentra maggiormente su robot umanoidi e animali robot: lo scopo dei primi è quello di aiutare in faccende domestiche e quotidiane gli esseri umani, mentre il secondo tipo di robot viene prodotto anche con lo scopo di fare compagnia alle persone, come se fossero dei veri e propri animali da compagnia.
Per il social network, invece, la situazione è ben diversa: quando viene aperta una pagina Facebook si possono notare immagini di prodotti particolari che vengono sponsorizzate. Queste non vengono mai pubblicizzate a caso, ma secondo un particolare algoritmo del sito che funziona in questo modo: Facebook cerca sempre di mostrare all’utente pubblicità di prodotti che possono fare per lui, mostrandogli prodotti che interessano ai suoi amici più stretti (almeno sul sito), amici con cui compare nelle foto o con cui chatta o prodotti che sono ricollegati ai dati personali che l’utente dichiara sul sito.
Il ragionamento che sta dietro a questo è molto semplice: se piace agli amici allora piacerà anche all’utente a cui si vuole mostrare la pubblicità.
Si tratta dunque di una pubblicità personalizzata, che parla direttamente al singolo consumatore e, per questo dunque, più efficace.
Questi dati però non vengono solo usati per fini pubblicitari dal sito, ma ultimamente, dato che la pubblicità in sé è in crisi, Facebook vuole cercare di monetizzarli e di venderli al mondo della finanza come informazioni chiave per calcolare il grado di affidabilità dei soggetti.
Però Mark Zuckerberg non si è fermato qui: quando anche Whatsapp è divenuto di sua proprietà, sono stati modificati i termini di utilizzo e l’Informativa sulla privacy del social facendo si che alcuni dati personali, come i numeri di telefono in rubrica, venissero condivisi con Facebook.
Tutto questo venne fatto per cercare di perfezionare la proposta pubblicitaria del social in modo che le inserzioni che venivano proposte coincidessero al meglio con gli interessi dell’utente.
Per questo, l’11 maggio 2017, l’antitrust ha multato Whatsapp – 4 milioni poi ridotti a 3 – per questa sua azione impropria e deve dichiarare alle Autorità ogni sua nuova iniziativa.
La questione “dati personali” e di come questi vengono monetizzati dai social è quindi molto delicata.
Comunque l’ultima scelta ricadrà sempre sull’utente il quale può decidere quanto usare il social, quanto chattare, se acconsentire l’accesso alla posizione o meno e quante informazioni personali dare che poi potranno essere sfruttate per fare pubblicità online sul profilo.
FONTI: Altreconomia n.195 di luglio-agosto 2017 , robotiko.it , lastampa.it , valigiablu.it
IMMAGINI: lecodelsud.it , wired.it