Non pensò subito di amarla. Era un pomeriggio di agosto,faceva troppo caldo per tenersi stretti. Non pensò che l’avrebbe mai amata. La guardava, quegli occhi chiari e impenetrabili, allegri, lei così buffa. Aveva uno strano modo di muoversi, come se le sue articolazioni si rifiutassero di andare a tempo, le braccia troppo lunghe, i capelli tirati su in maniera grossolana. Una capigliatura da cuscino. Non l’avrebbe mai amata.
Eppure, decise di andare avanti. Non sapeva bene perché, ma lei riusciva a stargli accanto per ore e quel tempo non sembrava mai buttato. Ed era geloso. Inspiegabilmente, era geloso di lei. Eppure non la amava. Sacrebbe finita in fretta, un paio di mesi di sorrisi, forse di sesso, poi sarebbe finita. Di mesi ne passarono tre e poi quattro, cinque e ancora non sentiva di amarla. Lei, da parte sua, era pazza di lui. Lo guardava con gli gli angoli degli occhi abbassati, lo divorava con lo sguardo. E lui si sentiva di non meritare tutto quell’amore non ricambiato. Parlavano per ore. Non erano mai d’accordo su nulla: lei piena di ombre, lui cocciuto.
Giocava con i suoi capelli. Da qualche tempo, provava uno strano piacere nell’ arrotolare l’indice e il medio attorno a una ciocca che scendeva sull’orecchio sinistro e le sfiorava la spalla. A lei dava fastidio. Adorava la pizza. Passavano le giornate così, a mangiare pizza e studiarsi. Senza amarsi. Sarebbe finita presto.
Settembre, ottobre, novembre. Faceva freddo quando lei prese il coraggio tra le mani, lo guardò e gli disse di amarlo. Fu un attimo. Due parole in fila, secche, senza tanti convenevoli. Ti-amo. Un temporale. Se lo aspettava? In fondo sì. La amava? Forse no. Avrebbe mai potuto amarla? Non sapeva cosa fosse l’amore. Non rispose, la guardò, la baciò, le sorrise.
Gennaio e faceva troppo freddo per non tenersi stretti. Passavano i pomeriggi tra lenzuola stropicciate, cuscini buttati in un angolo della stanza, coperte lasciate da parte. Lui non la amava, ma aveva bisogno di lei. Non la voleva, ma quando non c’era era infelice. Non la desiderava, ma quando facevano l’amore non riusciva a distrarsi. Non faceva parte di lui, ma le giornate senza di lei erano interminabili. La cercava, la pretendeva, non le permetteva neanche di respirare. Si prendeva ogni più piccola sfaccettatura, ogni angolo, non le dava la possibilità di nascondersi. Nonostante non riuscisse ad aprirsi con lei, nonostante non fosse in grado di mettersi a nudo, di mostrarle le sue fragilità, di raccontarle i segreti più profondi e inconfessabili, si sentiva offeso se lei non si mostrava completamente nuda davanti a lui, priva di filtri. Non la amava, aveva bisogno di qualcuno e lei si era solo trovata al posto giusto nel momento giusto. La faceva soffrire con tutti i suoi dubbi, le sue ombre, i suoi problemi. Lei gliela leggeva negli occhi, quella ombra di malinconia che si portava dietro. Ma lui non le permetteva di andare oltre i suoi occhi, la fermava lì con il suo sguardo fiero, duro, inamovibile. Lui ogni tanto spariva. A volte non si faceva sentire né vedere per giorni, intere settimane. Lei piangeva, lo chiamava, cercava di capire cosa non andasse. Ma lui tornava sempre. In lacrime, sotto casa sua, con l’anima rotta in pezzi sempre più piccoli. Le dava un bacio, la stringeva tra le sue braccia, le chiedeva scusa. Finiva lì, e ricominciavano dall’inizio: era il loro gioco.
Ad aprile lui conobbe una ragazza, Anna. Carina, simpatica, insignificante, poco interessante. Anna mostrò subito un grande interesse, lui non si tirò indietro. Qualche chiacchiera, un caffè, una birra e prima che se ne accorgesse si ritrovò tra le sue braccia. Non disse niente a lei, ma non sparì. Si convinse di amare Anna: gli piaceva, la desiderava, la voleva, era quella giusta. Una volta, due, la terza decise di parlargliene. Lei non reagì, sapeva che prima o poi sarebbe successo, sperava solo che lui scegliesse di lasciarla indipendentemente dalla presenza di un’altra donna: sperava che avesse il coraggio di andarsene da solo. Pianse, ma non cercò di convincerlo: sapeva che era finita. Si lasciarono con un bacio, lui non sentì nulla: era la prassi, doveva baciarla per lasciarla andare via. Non la amava, non la aveva mai amata: aveva bisogno di qualcuno, non riusciva ad affrontare il mondo, la vita, i problemi da solo. Lei gli riempiva le giornate, gli regalava qualche ora di felicità, serviva a quello. Ma lui non la amava. Lei singhiozzava ma si sentiva viva: avrebbe amato qualcuno allo stesso modo e anzi forse di più, avrebbe provato le stesse sensazioni per un’altra persona, avrebbe trovato quella giusta. Lui si allontanò, si girò solo una volta, la vide seduta su un gradino: piangeva. Se ne andò, non erano più affari suoi.
In estate lasciò Anna. Dopo esserci andato al cinema, a cena e a teatro decise che era stupida. Ci mise poco. Passò l’estate in vacanza con i genitori, a settembre rivide lei. Era abbronzata, un paio di kili in più, morbida, piena di vita. Non era mai stata così bella. Si salutarono, lei gli diede un buffetto sulla guancia, sorrise, si allontanò. Si chiese se stesse con qualcun altro, cercò di liberarsi da questo pensiero: non erano più affari suoi. Si girò, la seguì con lo sguardo mentre lei andava via. Dove era diretta? Avrebbe voluto chiederle se la sua camera avesse ancora le pareti rosa e se il carillon fosse ancora sulla scrivania, sapere che tutto era rimasto come prima gli dava sicurezza. Si fermò, per un istante pensò di tornare indietro. Era tardi, lei aveva già girato l’angolo.
Tornò a casa, si guardò allo specchio: la malinconia. Gli uscì una lacrima, la prima da quanto, due anni? Tre? Aveva le mani ghiacciate. E in quel bagno, con l’acqua aperta per non farsi scoprire, pianse tutte le lacrime che aveva.
Non era reale quello che aveva provato con lei, ma era tremendamente intenso. Non era sincero ma era lacerante. Non era giusto ma incredibilmente profondo.
Non avrebbe mai amato qualcuno in maniera così assurda, talmente strana da sembrare falsa. Non si sarebbe mai più sentito così, lei era stata la sua unica occasione di sentire e sentirsi. Ma ormai era finita: non erano più affari suoi, e adesso, senza di lei, lui stesso non era più affar proprio.