PLOT OPERA ATTILA, UN DRAMMA BARBARICO

Se siete amanti delle avventure di Conan il Barbaro penso apprezzerete una delle opere meno note al grande pubblico del maestro Giuseppe Verdi. Forse ci sarà meno azione ma le atmosfere ci vanno molto vicine.

Composta durante i cosiddetti “anni di galera” – ossia quel periodo che va dal 1842 al 1849 in cui Verdi produsse in maniera frenetica e continua – debuttò a Venezia, presso il Teatro La Fenice nel 1846. Il successo non fu immediato ma con il tempo si comprese la qualità musicale di quest’opera tratta da un dramma tedesco di Zacharias Werner. La trama è la seguente.

Verso la metà del V secolo, Aquileia viene messa a ferro e fuoco da Attila, re degli Unni. Al termine del conflitto, viene recato come dono al sovrano uno stuolo di giovani donne che hanno lottato valorosamente per difendere padri e fratelli. Il barbaro resta sorpreso da tanto valore ma una di loro lo colpisce in maniera particolare: Odabella, figlia del deceduto signore di Aquileia, la quale non ha timore di dire apertamente al suo nemico che le donne italiche non si fanno problemi ad impugnare le armi. Attila, affascinato, le dona la propria spada e la giovane pregusta la vendetta.

Allontanate le donne, viene annunciato che un messaggero da Roma è giunto per avere un colloquio col sovrano. L’ambasciatore si rivela essere una vecchia conoscenza di Attila: il generale Ezio, affrontato in precedenti battaglie. Quest’ultimo propone  un complotto a carattere geo-politico all’Unno per spartirsi l’Impero Romano ormai in declino e debole. Attila rifiuta con sdegno: “sti romani son proprio corrotti!”. Ezio allora torna a fare l’ambasciatore che non porta pena bensì minacce e dichiarazioni di guerra.

Nel frattempo alcuni superstiti di Aquileia, guidati dal cavaliere Foresto, raggiungono una laguna dalla quale sorgerà una nuova e fiorente città: la futura Venezia.

Qualche tempo dopo, Odabella è da sola, pensierosa: non è riuscita ad uccidere l’odiato oppressore e i fantasmi dei suoi cari glielo rinfacciano. D’improvviso compare Foresto, giunto in incognito alla ricerca della ragazza. I due infatti sono amanti e il giovanotto non ha apprezzato le voci secondo cui lei sarebbe diventata la favorita di Attila. Da bravo tenore inveisce subito contro di lei ma quando Odabella gli spiega che è tutto un suo piano per agire indisturbata e cogliere il barbaro nel momento migliore per ucciderlo, si riappacificano.

Nel frattempo Attila, nei suoi appartamenti, si desta di soprassalto, spaventato da un sogno in cui un vecchio imponente gli impedisce di raggiungere il suo obiettivo: la conquista di Roma, ormai a portata di mano. Egli si riscuote subito e decide di muovere tutto il suo esercito verso l’Urbe. Ad attenderlo però vi è una turba di fedeli assieme a Leone Magno, il Pontefice, nel quale Attila riconosce il vegliardo visto in sogno. Quando si dice premonizione! Così, impietrito da tale coincidenza, decide di sospendere l’attacco.

Ezio, in seguito a questo avvenimento, riceve nuovi ordini dalle alte sfere che gli comunicano la tregua con l’Unno. Ezio si rammarica della triste condizione in cui versa l’Impero e rimpiange il passato glorioso, comparandolo ora ad un cadavere in fase di decomposizione. Viene interrotto da Foresto che, in combutta con alcuni ribelli, sta organizzando un attentato ad Attila ed invita Ezio a prendervi parte. Foresto infatti non vorrebbe solo recuperare la patria, ma anche la sua amata. Ezio decide di accettare e rischiare il tutto e per tutto.

Quella sera viene preparato un lauto banchetto come segno di tregua tra Barbari e Romani. I druidi manifestano i loro presagi negativi per questa occasione ma Attila li scaccia, salvo che un fortissimo vento spegne improvvisamente le fiaccole. Un nuovo prodigio? Il re non se ne cura e prosegue la festa mentre Foresto , di nascosto, avvisa Odabella che il vino di Attila è avvelenato. La ragazza però non se la sente di veder morire il nemico a causa di un semplice veleno, lei vuole il sangue. Per tale motivo impedisce che il re beva dal calice. Foresto, furioso perché crede che Odabella ami Attila, svela la congiura. Il condottiero vorrebbe ucciderlo ma la giovane lo salva sostenendo che solo lei ha il diritto di punirlo. All’udire quelle parole il barbaro scioglie ogni riserva e decide di sposarla il giorno seguente; intanto ad Ezio comunica che della tregua se ne infischia. La marcia su Roma continua.

Nell’ultimo atto Foresto, lasciato fuggire da Odabella, compiange la propria sorte, il proprio amore… insomma, la fortuna sorride sempre all’Opera. In compenso i piani per colpire alle spalle Attila sono portati avanti ora da Ezio stesso, il quale riporta il nostro tenore al suo dovere: con la vendetta si risolverà ogni cosa. In quel momento irrompe in scena Odabella, fuggita dalla cerimonia in preda alla disperazione: si sente perseguitata dallo spettro del padre e ancora intenta a compiere l’omicidio giurato. Cerca di convincere di ciò anche Foresto ma ancora diffida. Sopraggiunge anche Attila, venuto a recuperare la sposa e vedendo i suoi nemici riuniti comprende il tradimento. Ognuno gli rinfaccia i torti subiti, i soldati vengono mobilitati… ma sarà proprio Odabella a trafiggere con la spada Attila, il quale morirà sussurrando il nome della giovane, mentre tutti esultano per la vendetta andata a buon fine.

Dramma soprattutto passionale, con dei toni poco velatamente patriottici, melodie coinvolgenti ed incalzanti, questa storia è un turbinio di sentimenti sulla quale primeggia senza dubbio Odabella, con il suo carattere volitivo e vendicativo. Una donna che ha un piano ben preciso, che non accetta aiuti e risulta essere molto attiva nella vicenda. Una vera guerriera che combatte con le sue armi per proteggere le persone amate e ottenere il suo scopo: la rivalsa sul nemico. Non il solito soprano innamorato che si lascia sopraffare dalla sorte.

Foresto rientra invece nei parametri classici degli amanti tenori: impulsivo, focoso e testardo, che affronta qualsiasi pericolo con coraggio e che fa fatica a comprendere le ragioni che muovono le azioni del soprano. Fedele alla sua donna ma poco riflessivo.

Il suo opposto è Ezio: generale disilluso, avvilito, disposto alla corruzione pur di cambiare le sorti di un Impero a cui ha dedicato la vita. Eppure alla fine si rivolta contro il nemico comune per salvaguardare quel poco che rimane del glorioso passato romano, sebbene ormai prossimo al fatale declino. Un personaggio che ha un senso dell’onore tutto suo, delineato soprattutto grazie alle note con le quali Verdi lo descrive nelle sue arie, quasi marmoreo in apparenza ma all’interno brucia di frustrazione e impazienza, alla ricerca di nuove imprese.

Infine abbiamo Attila, il grande protagonista, che come timbro vocale è un basso. Una scelta per l’epoca alternativa eppure assai efficace in quanto lo rende ancora più distintivo da tutti gli altri personaggi. Paradossalmente è proprio l’unno a dimostrare un senso di dignità più vicino alla nostra concezione: incorruttibile, leale, generoso perfino con i suoi rivali e morto da vero eroe tragico: assassinato dalla donna che ama e alla quale ha sempre portato rispetto. Mosso da ideali di conquista, sebbene con il suo metodo violento, voleva portare un nuovo ordine, un nuovo equilibrio in quel mondo dominato da sovrani inetti, comandanti infedeli e un popolo perduto. Attila probabilmente aveva colto, senza rendersene conto, la crisi di un’era e voleva portare la propria soluzione. Ai posteri l’ardua sentenza di giudicare se potesse essere giusto o meno.

Sul finale viene da domandarsi se i veri barbari non siano coloro che, nonostante le proprie ragioni, hanno ucciso un uomo dalla tempra indomita non ad armi pari, rivelandosi forse più vigliacchi e meno onorevoli di quanto volessero dirsi. Mors tua vita mea dicevano i latini… ma anche nel tradimento?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.