ALLA RICERCA DEL CLASSICO NON LETTO

Che in Italia il dibattito letterario sia stato relegato ai margini della cosiddetta “cultura” è cosa nota. Salvo poche eccezioni, qualificarsi come scrittore oggi suscita sospetto se non addirittura diffidenza. Del resto è comprensibile in un paese in cui si legge sempre meno e, di conseguenza, ancor più raramente si “parla” di libri. La critica svolge dunque mansioni di ordinaria amministrazione non senza nostalgia per i grandi dibattiti del Novecento.

Quest’agosto, però, un semplice sondaggio condotto con leggera ironia ha scatenato gli animi annoiati delle vacanze rispolverando un termine che non si sentiva da tempo: querelle. Andiamo con ordine.

E’ il 19 agosto e sul Fatto Quotidiano compare un articolo di Francesco Musolino in cui dieci autori under 40 confessano la mancata lettura di alcuni “classici”. Senza vergogna i giovani scrittori scherzano sul rapporto con alcuni maestri del Novecento: dal Dostoevskij abbandonato, al Proust troppo lungo, passando per la Woolf adoperata come efficace metodo di rimorchio. Provocazione? Divertissement vacanziero? Fatto sta che si è scatenata l’indignazione.

Non ci sarebbe nemmeno bisogno di specificarlo, ma la baraonda è esplosa sui social. Le pagine degli scrittori coinvolti sono state bersaglio di critiche. Con sorpresa generale, Joyce si è rivelato come uno degli autori più letti (e capiti?) in Italia. L’umorismo e il coraggio dei giovani scrittori sono stati scambiati per arroganza e ignoranza. L’occasione è stata propizia per svalutarne i romanzi, magari da quegli stessi utenti che, fino al giorno prima, avevano mostrato ammirazione.

Lasciando da parte i cosiddetti haters e le loro effettive letture e competenze, la querelle ha nuovamente riportato in auge il concetto di classico. Non è questa la sede per tentarne una definizione, ma bisogna fare una precisazione: i nomi “classici” dello scandalo sono Proust, Joyce e Musil e, più in generale, personalità del primo Novecento. Sembra insomma che i nostri scrittori non abbiano un bel rapporto col modernismo. E’ noto, d’altra parte, che spesso la traduzione italiana di queste opere sperimentali e complesse è tutt’altro che fedele, e inevitabilmente. Per lo meno da quest’indagine non sono saltati fuori maestri italiani ignorati.

Per chi reputa la letteratura, vuoi per professione o per passione, una componente essenziale nella proprie esistenza, un libro non letto è sempre una mancanza. Pazienza, la vita continua. Non potendo leggere tutta la produzione umana degli ultimi secoli, dovrò per forza di cose selezionare l’offerta, costruirmi una biblioteca personale, seguire certe tematiche… Si potrebbe obiettare sostenendo l’importanza assoluta di certi nomi, ma forse essa è solo una conseguenza storica. La mia diventerebbe una lettura obbligata, d’ossequio. Tutti possono leggere l’ Ulysses, ma pochi capirlo.

Ma se io, comune mortale, posso essere perdonato per queste mancate letture dalla giuria popolare salita alla ribalta sui social, lo scrittore invece non è altrettanto fortunato. A lui si richiede la sterminata cultura e la conoscenza mnemonica dei grandi capolavori. Ma non solo: non si può essere scrittori senza aver letto quel classico. Come se il classico costituisse una sorta di istruzione per l’uso, una guida (o tutorial…) alla difficile arte dello scrivere.

Lo scrittore professionista legge, e molto. Su questo non ci piove. A seconda del suo grado di cultura e raffinatezza, le letture saranno magari meno istituzionali, meno note, ma non per questo meno preziose. Ricostruire il percorso di lettura di un autore potrebbe essere un buon esercizio critico. Nella poliedricità della sua biblioteca vi si potrebbe scorgere, inoltre, un certo acume. Forse, a questo punto, sarebbe più utile ragionare sui libri letti piuttosto che condannare senza esitazione per le mancate letture.

Mi si perdoni la banalità, ma leggere è un po’ come viaggiare. C’è chi segue l’opinione generale e organizza i propri viaggi per sentito dire e si fionda verso luoghi “perché meritano”, senza saperne dare una motivazione. E allora tutti in fila agli Uffizi in ossequio ad una evanescente e vaga Bellezza di sorrentiniana memoria. C’è però il viaggiatore più attento e dalla curiosità più sottile, come nel libro di Saramago. Segue sentieri più dimessi e inconsueti per raggiungere scorci segreti. Il viaggio diventa avventura nel vero senso del termine, e cioè scoperta.

Poi, certo, i capolavori degli Uffizi restano capolavori e il nostro viaggiatore è il primo a recriminarsi la mancanza. Prima o poi ci andrà e ne farà una sfida con se stesso. I nostri scrittori non hanno semplicemente ignorato questi classici, ma hanno intrapreso un rapporto conflittuale fatto di incomprensioni che per il momento resta sospeso. Ma, si sa, è da tali difficoltà che nascono amori e rivalutazioni. E la lettura è costante sfida e tensione, altrimenti cade in sterile abitudine.

Un aneddoto su Petrarca. I contemporanei sospettavano, da parte del poeta aretino, l’odio e il disprezzo nei confronti di Dante. Petrarca si difende dalle accuse in una famosa epistola a Boccaccio che, non senza una certa malizia, gli aveva regalato una copia della Commedia. Petrarca rassicura l’amico di non provare odio nei confronti di Dante e, subito dopo, confessa di non aver studiato, da giovane, la Commedia. La ragione? Per paura di restarne irrimediabilmente influenzato impedendogli la ricerca di uno stile originale. La paura, cioè, di diventarne un semplice imitatore. Se la storia è vera, non dovremmo che esserne lieti. Di Commedia ne basta una, che è in sé perfetta ed inarrivabile. Ma cosa sarebbe stata la letteratura italiana senza Canzoniere?

Fonti: Francesco Musolino, Classici. Quello che gli scrittori (giovani) non leggono, Il Fatto quotidiano, 19 agosto 2017

Francesco Musolino, Vale più un like o un classico non letto?, Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2017

Credits: Immagine1Immagine2

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