CHRISTOPHER NOLAN È BRAVO E DUNKIRK È BELLO (?)

Sebbene la redazione del Lo Sbuffo abbia già speso molte parole su Dunkirk, ultimo film dell’acclamato Christopher Nolan, al termine della visione ho personalmente sentito la necessità di trattare ulteriormente la materia, cercando di evitare noiose ripetizioni e di portare un punto di vista forse non nuovo, ma controverso e decisamente molto meno popolare.

Per discutere della pellicola sarebbe necessario iniziare dal suo creatore, tuttavia parlare di Christopher Nolan è diventata, sopratutto negli anni che hanno seguito il suo Interstellar, un’operazione così pericolosa da far rischiare il linciaggio a chiunque non controlli la propria lingua… sopratutto sul web. Apprezzato tanto dalla critica quanto dalla grande maggioranza del pubblico, Nolan ha firmato nel corso degli anni numerosi lavori che, in misura minore o maggiore, io stesso ho sempre apprezzato e stimato: da Memento alla trilogia dedicata al supereroe pipistrello, da Inception al già citato Interstellar, il regista britannico ha saputo guadagnarsi la fiducia degli spettatori assicurando un livello qualitativo spesso al di sopra della media.

In ogni favola però si nasconde l’orco cattivo e in questo caso la puzza di marcio è venuta a galla con la crescita di una troppo accanita fanbase ed il suo acuire le lodi (solo di rado giustificate) rivolte verso la presunta genialità del regista. Se un emisfero si è dunque riempito di crociati, pronti a combattere senza troppo ragionare pur di difendere il proprio regista preferito, l’altro è stato presto popolato da pagani che, in modo altrettanto ingiustificato, hanno deciso di bistrattare Nolan ricoprendolo di critiche e insulti, dimenticando però che il vero nemico da combattere non fosse certo la sua persona, bensì il fanatismo di molti suoi sostenitori.

È ora tempo di parlare di Dunkirk: ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, il film è scandito su tre linee temporali differenti che vedono come protagonisti rispettivamente un gruppo di piloti di Spitfire, il piccolo equipaggio di un’imbarcazione civile e dei giovani soldati intrappolati sulla spiaggia di Dunkerque (il vero nome della cittadina francese). Mentre il nemico avanza verso il litorale senza arrestarsi, centinaia di migliaia di soldati attendono il loro destino fissando il mare e sperando in un salvataggio che potrebbe non arrivare mai. Un’idea di partenza che reputo molto interessante, che sceglie di accantonare gli scontri a fuoco più tipicamente Hollywoodiani per lasciare spazio al senso di claustrofobia e ad un progressivo spegnersi della speranza. La paura, la tensione, il tempo che scorre inesorabile mentre il nemico dilaga per le strade della città, l’impotenza di fronte ad una imminente sconfitta: questi volevano essere i colori della tavolozza scelti da Nolan per dipingere il suo quadro. Forse.

O forse no: se questi erano gli intenti, il regista perde completamente la rotta dopo i primi minuti di film; non è certo il lato tecnico che può salvarlo, di ottima fattura, ma nulla che un budget (stimato) di 100 milioni di dollari non possa comprare. Ma quindi, che cosa non funziona in Dunkirk?

Iniziando dall’idea di base che ha fatto nascere il film, cioè la volontà di raccontare una storia meno conosciuta concentrandosi più sui personaggi e sulle loro emozioni piuttosto che sulle raffiche di fucili e sulle esplosioni, subito è possibile sfatare il mito di originalità che sembra ruotare intorno a questa scelta: già molte altre pellicole che trattano di guerra hanno fatto della lentezza e dell’introspezione psicologica dei soldati il proprio punto di forza; penso primo fra tutti ad Apocalypse Now di Coppola, oppure a The thin red line di Malick. Ciò nonostante questo è ben lungi dall’essere un difetto della pellicola e anzi, tornando alla discussione intrapresa nei paragrafi di apertura, deve essere detto come sia stata la fanbase adoratrice del regista a difendere il suo ultimo lavoro affibbiandogli erroneamente l’etichetta dell’originalità assoluta.

Abbandonando ora le critiche mosse contro le strenue difese dei fan, è tempo di considerare le scelte intraprese direttamente da Nolan, iniziando dai protagonisti della vicenda. Il film, focalizzandosi in modo evidente su un pugno di personaggi, perde la possibilità di mostrare una prospettiva corale degli eventi; parallelamente però si dimentica completamente di approfondire i protagonisti che sceglie, in ogni loro aspetto: non conosciamo il passato, il carattere, i pensieri, le relazioni dei fantocci che si muovono sullo schermo, e questo rende impossibile qualunque contatto o empatia da parte dello spettatore. Mossi unicamente dalle spinte ora del patriottismo, ora della paura per la propria vita, il tutto si riduce ad una sequenza binaria di emozioni che non riesce a soddisfare, neppure a voler essere generosi, il tanto agognato traguardo di film introspettivo.

Ammettendo poi che Nolan non avesse pretese di costruire complesse analisi psicologiche, ma che intendesse mostrare nel modo più semplice e diretto possibile gli istinti che muovono gli esseri umani nei momenti più estremi, in questo caso non si riesce ad accettare la patina dorata di cui è ricoperto tutto il film: momenti di patriottismo fuori luogo, battute ad effetto completamente inadatte a situazioni di terrore e pericolo, un’inutile sovrapposizione di linee temporali che getta nella confusione i primi minuti di visione, attori bellocci dalla mascella scolpita e dal ciuffo sempre ben curato, una fotografia che, per quanto eccezionale in molti momenti, si perde nel diventare un gioco fine a se stesso, un compitino ben svolto nel disperato tentativo di coprire le falle di questa pellicola.

L’unica idea veramente interessante si dimostra essere la scelta di non mostrare mai il nemico nazista avanzare, rendendolo un qualcosa di diverso da un esercito meramente fisico, trasformandolo piuttosto in un pericolo mortale di forma astratta che schiaccia l’esercito alleato lungo la spiaggia, impossibilitato a fuggire… non fosse che, in una delle inquadrature finali, vengono mostrati alcuni soldati che indossano l’inconfondibile uniforme nazista.

Nolan cerca in ogni modo di tenere alta l’asticella della tensione inserendo scene che, seppur registicamente ben costruite, non riescono a coinvolgere lo spettatore per il già citato problema dell’anonimia dei protagonisti che le vivono: non si ha mai la paura di perdere un personaggio a cui si è legati e, anzi, si può provare un vago fastidio per il fatto che il film continui a chiedere al pubblico un interesse, un’empatia che è davvero impossibile provare.

Per concludere, Christopher Nolan è un bravo regista? Assolutamente sì.

Dunkirk è un bel film? Purtroppo no.

Complici della mia aspra critica, come per quelle di altre persone, sono state le alte aspettative sul regista, la forte campagna pubblicitaria, gli inni alla gioia rivolti al film che si annidano tuttora nel web e sopratutto la consacrazione di un regista che viene spesso (troppo spesso) paragonato ad un novello Stanley Kubrick, sopratutto per la capacità di destreggiarsi con ogni genere cinematografico e di creare opere di grande valore artistico riuscendo comunque a ricavarne un grosso successo commerciale. Se non ho nulla da dire sulla bravura di Nolan nel costruire film che piacciono, tanto alla critica quanto al pubblico, sul discorso prettamente artistico del suo lavoro, confrontandolo con quello di Kubrick, avrei qualche cosa in contrario.

Fonti:

Visione diretta

Crediti immagine:

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http://www.indiewire.com/wp-content/uploads/2017/03/screen-shot-2017-03-29-at-7-06-42-pm.png

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